La tavola dipinta, che misura cm 128×212, costituisce una sorta di pagina miniata di grandi dimensioni.
Il Beato Angelico, un artista straordinario, in grado di padroneggiare sempre con grande maestria tecniche di pittura così diverse come l’affresco, la miniatura e la pittura su tavola, usa qui i materiali tradizionali delle botteghe fiorentine del primo Quattrocento: tempera a base d’uovo mescolata a pigmenti brillanti e preziosi, tra cui il blu di lapislazzuli, e raffinate decorazioni dorate in corrispondenza delle aureole e delle vesti dei personaggi.
Dopo il restauro eseguito nel 1955, in occasione delle mostre che a Roma e a Firenze celebravano il cinquecentenario della morte dell’artista, l’opera non era stata più restaurata, nonostante fosse sottoposta a periodiche manutenzioni. Così il sostegno economico del Rotary Club Firenze Certosa, e di altri club rotariani, è stato provvidenziale per revisionare il vecchio intervento e proporre una nuova lettura dell’opera.
I motivi per cui ha avuto avvio il restauro, che si è protratto da dicembre 2018 a settembre 2019 sotto la direzione di Marilena Tamassia, erano legati principalmente ai materiali estranei, un insieme di patine alterate e sporco di deposito, che si erano accumulati nel corso degli anni sulla superficie dipinta e che avevano l’effetto di attutire la luce di cui è intrisa la pittura dell’Angelico e di appiattire lo spettacolare impianto prospettico, con lo scorcio ardito degli avelli scoperchiati in primo piano al centro della composizione.
Quando infatti Gaetano Lo Vullo, rinomato restauratore del gruppo diretto dal Soprintendente Ugo Procacci, aveva pulito la superficie pittorica negli anni ’50, aveva deciso di togliere le vernici ingiallite e i ritocchi alterati, ma prudentemente aveva lasciato la patina sottostante, che con i mezzi disponibili all’epoca sarebbe stato pericoloso asportare. In tempi recenti invece sono state messe a punto formulazioni addensate e in emulsione dei solventi, che ci hanno permesso di assottigliare senza rischi lo strato bruno di patina recuperando la brillantezza delle stesure pittoriche e i valori plastici della composizione.
Ovviamente il metodo è stato messo a punto dopo aver verificato il reale stato di conservazione della pittura e studiato la tecnica di esecuzione con un ricco dossier di analisi scientifiche.
Contemporaneamente all’intervento sulla superficie pittorica anche la struttura lignea, composta di quattro assi in legno di pioppo disposte orizzontalmente, come evidenziato dall’indagine radiografica, è stata sottoposta a un’accurata revisione, soprattutto per rimediare alle fenditure da ritiro del legno che percorrevano il dipinto in tutta la sua larghezza e che prima dello smontaggio dalla teca di vetro non era stato possibile rilevare.
Il doppio intervento, conservativo ed estetico, ha permesso di recuperare quindi al meglio un’opera tanto rappresentativa dell’attività dell’artista e nello stesso tempo di annotare una serie di osservazioni sulla tecnica costruttiva della tavola che insieme ad altri studi ci auguriamo possano essere oggetto di una futura pubblicazione.
Se infatti conosciamo la provenienza dell’opera, la chiesa camaldolese di S. Maria degli Angeli dove la descrive anche il Vasari, rimane tuttora da sciogliere il mistero della collocazione e della destinazione d’uso di un dipinto così singolare per forma e incorniciatura.
La Restauratrice
Lucia Biondi