Il Mondo della Fotografia Firenze,Museo del Bargello La nuova luce per Michelangelo, la luce nel Rinascimento

La nuova luce per Michelangelo, la luce nel Rinascimento

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LA LUCE NELLA POETICA DI MICHELANGELO

 

La Sagrestia Nuova di San Lorenzo è uno dei monumenti più importanti del Rinascimento italiano perché, cosa non comune, è stata progettata e quasi interamente realizzata da un solo artista, Michelangelo. Si presenta come un insieme integrato di architettura, scultura e decorazione in cui la luce svolge il ruolo di legame, commento, percorso simbolico, esaltazione del pathos, come hanno rilevato studiosi quali Christoph Luitpold Frommel, Erwin Panofsky, William Wallace, Georg Satzinger.

UNA DOPPIA ILLUMINAZIONE

Le condizioni ideate da Michelangelo con l’apertura delle finestre nella parte alta della Sagrestia e su tutte e quattro le pareti, producono due diverse qualità di luce, di cui una è più costante, mentre l’altra cambia in modo evidente con il trascorrere delle ore e a seconda del variare delle stagioni.

Una luce diffusa cade dall’alto, sulle modanature, sulle cornici e sulle nicchie dove si sviluppano ombre orizzontali che si mantengono costanti. L’ordito plastico è sempre ben leggibile, senza eccessivo contrasto e nessuna parte della cappella rimane mai in ombra. Un’illuminazione che, pur con leggere variazioni di intensità nel tempo, consente la lettura chiarissima della complessa architettura nell’arco della giornata.

Michelangelo mette qui a frutto l’esperienza romana, ricordando il coro di San Pietro di Bramante, la chiesa di Sant’Eligio degli orefici di Raffaello, la Cappella Chigi a Santa Maria del Popolo, ma soprattutto il grande oculo del Pantheon che ancora oggi dona chiara e costante leggibilità alle modanature architettoniche, sottolineate quasi esclusivamente da ombre orizzontali.

Accanto alla luce diffusa, c’è quella prodotta dalle finestre che, con il passare del giorno, nella variazione delle stagioni, lascia penetrare luci differenti che fanno da commento ai gruppi scultorei.

Questa seconda luce non interferisce troppo con quella diffusa e con la leggibilità del monumento, ma produce due tipi di effetti, uno diretto, l’altro indiretto, attraverso i rivestimenti marmorei messi in opera da Michelangelo che, dando origine a una serie di rifrazioni, hanno un peso rilevantissimo nella lettura generale.

Soprattutto si produce una varietà di quello che in gergo tecnico è definito fonti secondarie, difficili da immaginare senza delle misurazioni oggettive (time lapse). Il risultato è l’irraggiamento indiretto delle statue, come avviene in quella della Notte, che durante certe ore è illuminata dal basso, grazie alla rifrazione sul rivestimento marmoreo inferiore destro della parete est.

Più in generale si può osservare come l’andamento dei raggi del sole, attraverso le finestre e il lanternino, produca straordinari effetti di rifrazione, tanto che al mattino la statua dell’Aurora viene illuminata anche da dietro, attraverso il riflesso dal marmo retrostante dove batte direttamente la luce.

LA LUCE NEL RINASCIMENTO TRA MICHELANGELO E LEONARDO

Sembra che Michelangelo abbia usato nella scultura e nell’architettura ciò che Leonardo aveva teorizzato nel Trattato della Pittura. In quelle pagine l’artista di Vinci aveva evidenziato differenti tipologie di luce, oltre a quella diretta esistono anche: «Le riverberazioni causate da corpi di chiara qualità, di piana e semidensa superficie, i quali, percossi dal lume, quello, a similitudine del balzo della palla, ripercuotono nel primo obietto».

Le idee di Leonardo sulla riverberazione o, come li definiva, sui «lumi secondari» oppure «derivativi», erano il risultato dei suoi esperimenti sulla diffusione della luce. Idee che Leonardo stesso aveva applicato alle sue pitture, dove è possibile constatare come dei corpi siano illuminati attraverso il riflesso di materiali colpiti dai raggi solari.

Gli effetti teorizzati e applicati da Leonardo in pittura, vengono trasferiti da Michelangelo nelle arti plastiche, cosicché la materia e le sue volute differenze di lavorazione sono in stretta relazione con l’illuminazione: nella rifinitura delle statue, sono lasciate a una stadio più grezzo le parti dove la luce non batte, con effetti di contrasto e chiaro scuro, ma portate a lustro le altre, che non sono esposte alla luce diretta ma, come nella Notte, a un «lume secondario».

Con questa coraggiosa innovazione Michelangelo puntava a superare alcune convenzioni rinascimentali nella diatriba sulla superiorità delle arti. Intorno al 1492 Leonardo aveva infatti attribuito ai pittori un vantaggio essenziale: «La scultura era seconda alla pittura perché non era in grado di dare come quest’ultima lumi ed ombre a proposito». Un concetto ribadito da Baldassarre Castiglione nel 1527: «alle statue mancano molte cose che non mancano alle pitture e massimamente i lumi e le ombre».

Due decenni dopo Benedetto Varchi, in una sua lezione del 1546 ribalterà il punto di vista di Leonardo: «E se alla scultura mancano i lumi e l’ombre, che dà l’artefice, vi sono quelli e quelle che fa la natura stessa, i quali e le quali si vanno variando naturalmente il che non fanno quelli dei pittori». Sono parole che sembrano coincidere con alcuni monumenti creati da Michelangelo dove la luce, e il suo variare, svolgono un ruolo fondamentale.

La Sagrestia Nuova si dimostra dunque uno snodo fondamentale per Michelangelo come architetto, scultore e, non da ultimo, pittore, cioè di un artista che lavora anche con la luce.

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