Per le nozze del Marchese Roberto Rosselli Del Turco e la Baronessa Maria Luisa Ricasoli, che si celebrarono a Firenze, il 6 di Giugno del 1921, un erudito ricercatore d’archivi, il prof. Antonio Lorenzoni compilò un bel libretto, arricchito da ben 29 tavole eliotopiche, riproduzioni delle opere di Cosimo Rosselli (o a lui attribuite da studiosi autorevoli) eseguite con la tecnica affinata nel secondo 800 a Venezia.
Ne diamo un saggio, che comprende le riproduzioni e l’introduzione, che colloca l’illustre pittore di “famiglia” nel suo tempo, il 400 fiorentino di Lorenzo il Magnifico.
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A. LORENZONI
COSIMO ROSSELLI
PITTOR FIORENTINO
(MCCCCXXXIX-MDVII)
CON NUOVI DOCUMENTI E CON XXIX TAVOLE ELIOTIPICHE
FIRENZE
LIBRERIA INTERNAZIONALE EDITRICE MCMXXI
NEL QUATTROCENTO FIORENTINO
Cosimo Rosselli visse in un secolo grande nell’agitarsi delle varie correnti ideologiche, destinate a maturare un nuovo assetto sociale, maraviglioso nello svolgersi degli spiriti e delle forme artistiche, che tutte investono le espressioni della vita.
Nella prima metà del quattrocento il popolo fiorentino, che tra le agitazioni e le lotte avea vissuto una delle vite più luminose, che mai popolo, dopo Atene, abbia attraversato, s’avvia a uno stato di equilibrio, che i Medici vanno destramente rassodando. Il popolo, durante il giorno, lavora assiduamente nelle cento e cento fabbriche di broccati, di veli serici, di panni, e l’oro entra a rivoli dai mercati mondiali.
Dopo il lavoro manuale, ferve il lavoro sereno dello spirito, bello nella sua semplicità, alto nella sua poesia intima.
Tutta l’anima è ancora pervasa dalle visioni religiose dell’ Evangelo. Il popolo le vede rappresentate nelle tante Compagnie ; le ammira nelle grandi feste di S. Giovanni, di S. Spirito, dei Carmini, di S. Felice in Piazza.
Sotto i suoi occhi si svolgono le processioni e i riti sacri nella pompa dei colori, nel ritmo delle linee.
Alla sera, le divote comitive passano, sotto il mite cielo di primavera, per le vie, salmodiando pianamente. Si adunano davanti ai tabernacoli e l’anima si effonde in un inno di lode alla Vergine, in una calda preghiera a Gesù Redentore. La cennamella accompagna i dolci cantari.
I pittori colgono questi momenti di poesia semplice, toccante e li ripetono negli affreschi delle chiese ; colgono la visione, che passa nella laude sacra e la traducono fedelmente nelle tavole ove la Vergine sorride e i dolci Bambini deliziano lo sguardo degli oranti. Si vive nell’idea oltremondana e questa idea si muove nei cuori, si esprime nei canti, si fissa nei quadri.
L’ intenso sentimento religioso nella sua larghezza lascia un campo ben libero per le visioni care alla vita. Sono balli, che s’ intrecciano sul Prato d’Ognissanti ; cori e danze di fanciulli nei costumi più gai, che si muovono lungo le prode fiorite dell’Arno; cortei nuziali magnifici, feste di popolo, ricevimenti sfarzosi di principi, e tutte queste forme balzano nei quadri profondamente belli nelle linee, intimamente vivi della vita stessa del popolo, che li ispirava.
L’arte mistica sale al suo fastigio col nome di un grande poeta-pittore : il Beato Angelico. Egli vede i dolci visi delle sue Madonne nell’ estasi della preghiera e il popolo dirà che un angelo, quando li dipinge, gli conduce la mano.
L’Angelico ha tutte le trasparenze, tutte le delicatezze di un lungo tramonto autunnale, fatto d’oro, di viola e di porpora.
Dopo un breve correre di anni, le correnti etiche dell’Umanesimo dalla letteratura passano ai costumi. Gli occhi si abbassano a riguardare la terra e a ricercare in essa le forme della bellezza vivente nell’uomo, vivente nella natura, che lo circonda. L’ardore religioso
si smorza in un idealismo mistico. Le grandi idee di libertà.e di onore in molti vanno adattandosi a un regime larvato di Principi.
Alla distanza di pochi decenni, nel battito fervido della vita, nella tranquillità relativa della città, avviene in questo popolo virile, ma stanco una trasformazione delle più importanti. La famiglia Medicea col suo largo
sèguito congiunge alle pratiche religiose il più fine paganesimo della vita. Dignità d’individui, libertà di patria, semplicità di costumi in molti vanno alla deriva, per perdersi nella indifferenza impotente.
L’ arte è sensibilissima a questo momento etico. Descrive ancora negli affreschi il racconto evangelico, ritrae ancora i riti solenni, ancora effigia dei visi mirabili di Madonne e di Angeli, ma, scegliendo le cose più belle e le più degne, le ritrae dal naturale.
La bellezza muliebre e virile di Firenze popolare i grandi affreschi e i quadri sacri, ma il naturalismo, facendo fascio di varie cose elette e in fra le men buone, soffoca l’ideale religioso. Lo Zuccone, notissimo becero fiorentino, diventa di punto in bianco un S.Matteo apostolo e qualcuna delle più venuste, ma non precisamente delle più costumate donne fiorentine, prende il posto delle celestiali Madonne.
L’arte esce dalle chiese ed entra nei palazzi privati e pubblici.
Ben presto molte, troppe case s’adornano di belle donne punto vestite, di figure in cui il profumo dei fiori del male è fatto più acuto dal valore dell’artista.
Molta parte del vecchio mondo fiorentino nello snervamento s’aggioga al carro dorato dei Medici, corruttori sapientissimi. Ma non si mutano senza reazioni e senza lotte i criterii di una lunga vita vissuta.
Questo popolo cosi pronto a comprendere, così acuto nell’analizzare, s’agita in un senso di irrequietezza fatto di visione chiara dei mali presenti, di sgomento pauroso per quello che il domani può portare di sventura. I Liberi in nome della religione, della morale e della patria s’adergono contro la marea, che sale: sono derisi, perseguitati, ma parlano alto.
I Medicei sogghignano e si danno alla gioia spensierata, ma pur nel riso sforzato, nel piacere chiassoso nutrono nel segreto delle anime la stessa ansia, lo stesso sgomento. Talvolta, confessano apertamente il disagio presente, ma i documenti narranti il dolore pensoso di questa nobile generazione li abbiamo più vividi, più larghi, più sicuri nella pittura non solo degli artisti avversi ai Medici, come Cosimo Rosselli, ma negli stessi paganeggianti, anzi nello stesso Sandro Botticelli principe incontrastato del paganesimo mediceo nell’arte.