Come riferimento a questo progetto Fontcuberta cita Pablo Neruda il quale compose “Ode al Ricercatore” in cui descrive il lavoro di un ciclope dotato di “un solo occhio efficiente”, qualcuno che usa il microscopio per osservare e scoprire i misteri nascosti nelle cose più minute: nelle sue parola Neruda eleva il lavoro del tecnico di laboratorio al livello grandioso della poesia epica, dimostrando come i suoi sforzi siano fondamentali per affrontare sia la vita che la morte.
Neruda ha in mente un laboratorio biologico, ma è facile prendersi la libertà di pensare anche al laboratorio fotografico, al grembo oscuro in cui si rivelano gli assalti della luce e dell’ombra. Perché il fotografo, anch’egli dotato di un occhio da ciclope, scruta la vita e la morte sotto il manto della Via Lattea.
Più del microscopio, è la macchina fotografica a confermare lo stato di salute del mondo e la sua storia. Il laboratorio fotografico diventa un crogiolo di memoria, dove l’immagine rimane come traccia di ciò che siamo stati e contro cui abbiamo lottato. Scompariremo, avremo amato, avremo devastato Hiroshima e Gaza. La Via Lattea continuerà a tremolare.
Il lockdown dovuto alla pandemia di Covid ha spinto l’artista a rivedere il suo archivio e a rileggere il suo lavoro, esplorando i suoi progetti di ricerca e cercando connessioni tra le immagini che suggerissero nuove narrazioni e poetiche, ovvero che andassero oltre la loro interpretazione originale.
Questa trasversalità permette all’autore di intrecciare opere che evocano molti dei concetti attorno ai quali la sua ricerca ha sempre oscillato: l’ambiguità dell’immagine e la costruzione del senso, il conflitto tra documento e invenzione, i regimi di verità, il testo visivo e la sua dimensione espressiva, i palinsesti e il pentimento, la pareidolia e il trompe-l’oeil.
“La Via Lattea” è quindi un progetto fatto di progetti che riunisce strategie e pratiche diverse: fotografie convenzionali, fotogrammi (stampe senza macchina fotografica),fotografie provenienti da cataloghi scientifici e registrazioni satellitari, lavoro d’archivio, recupero di fotografie danneggiate, acquisizioni effettuate con microscopi elettronici, immagini foto-realistiche generate con l’intelligenza artificiale…
Ad esempio, qui troviamo opere della serie “Constellations” (1993), che sono stampe dirette di zanzare e altri insetti volanti schiantati sul parabrezza dell’auto dell’artista che simulano viste notturne di cieli stellati, con altre di “Cultura di polvere” (2022), grandi ingrandimenti di piccoli frammenti della superficie di vecchi negativi ricoperti di muffa che sembrano rappresentazioni del cosmo profondo con le sue nebulose galattiche.
Per tutti questi motivi, “La Via Lattea” può essere considerata, in una certa misura, una sintesi di tutto il lavoro di Fontcuberta. Come egli stesso ha dichiarato, qualora venisse annunciata la sua morte, “La Via Lattea” costituirebbe una sorta di riassunto del suo testamento artistico.