JOSEF SUDEK
L’Eredità di una visione più profonda
di David Carrier
Galleria d’Arte dell’Ontario
3 ottobre 2012 – 7 aprile 2013 – Toronto
(traduzione dall’originale di Andreina Mancini)
Nel suo saggio per il vastissimo catalogo della mostra, il fotografo Geoffrey James osserva che, malgrado non abbia ancora visitato la città, “so che non troverò la Praga di Sudek”. Ha ragione.
Queste 175 fotografie in bianco e nero sono state scattate durante la lunga carriera di Josef Sudek (1896-1976) in una città che in origine faceva parte dell’Impero austro-ungarico, divenne poi capitale della Cecoslovacchia indipendente, ma fu presto invasa dai tedeschi e, infine, cadde sotto il dominio sovietico.
Dato che le immagini mostrano per lo più strade vuote, difficilmente da esse si potrebbe ricostruire quel percorso storico. Naturalmente sarebbe stato pericoloso fotografare soldati tedeschi o russi. Ma solo guardando, è difficile datare la maggior parte delle fotografie. Gli eventi entrano nell’arte di Sudek solo in “Praga dopo il bombardamento – Scena di strada, Torre dell’orologio e Cattedrale sullo sfondo” (1945).
Secondo Sudek la fotografia “dipende interamente da cose che esistevano già prima di essa e a prescindere da essa, cioè il mondo intorno a noi”.
Per questo motivo, le sue fotografie mostrano una selezione sorprendentemente ristretta di cose del mondo intorno a lui. Vediamo lo studio di Sudek; diverse sculture; la cattedrale di San Vito e i giardini del Castello di Praga, oltre a paesaggi vicini; e nature morte.
Ma in questa mostra troviamo poche testimonianze dell’architettura contemporanea, della vita di strada o del lavoro in fabbrica.
(Mi riferisco solo alla selezione di fotografie in mostra; Sudek ha trattato questi temi negli anni ’20). La mostra dell’Ontario presenta una visione curiosamente senza tempo di una città che, durante la sua vita, ha subito cambiamenti significativi.
Non ci sono molte persone nelle immagini, anche se “Il terzo cortile del Castello, visto dalla Torre della Cattedrale di San Vito”(1936), guarda giù sulla folla. Fece pochi ritratti, e “Nel giardino magico (Cappello su panchina)” (1954-59), vediamo un cappello, surrogato di una presenza umana.
Ma, soprattutto, le fotografie di Sudek ritraggono sculture, come in “Statua di San Venceslao” (1942-45); piccoli oggetti, come in “Blocchi giocattolo” (anni ’30), o nella serie “Semplici nature morte (“Uovo e bicchiere)” (1950-54); e paesaggi panoramici. “Cattedrale di San Vito, natura morta con brocca sul pilastro (1925)”, uno dei suoi capolavori, mostra in modo molto efficace una natura morta all’interno di quella chiesa.
Come Giorgio Morandi (1890-1964), un altro reduce traumatizzato dalla Grande Guerra, Sudek era soprattutto un solitario. Negli anni Trenta ottenne un notevole successo commerciale, ma in seguito restò isolato. In un periodo in cui la fotografia, come la pittura, veniva radicalmente trasformata dalle avanguardie eroiche, viveva e lavorava in una città fuori mano. Si è detto che Morandi, “ritirandosi lentamente… ha costruito una realtà che gli ha dato il tempo di pensare e lavorare… come individuo”.
Credo che la stessa cosa valga per Sudek. La sua Praga era piena di scosse, ma a differenza dei Surrealisti, in genere non aveva interesse a mostrarle. Un’eccezione conferma questa regola – “Manichino e scultura”, dalla serie “Una passeggiata nel giardino della scultrice” (1953-57), dove quella combinazione di oggetti è sorprendente.
Ma descrivendo Sudek come distaccato, non intendo affermare che fosse indifferente agli eventi pubblici. Piuttosto, egli riconobbe che l’unico modo di reagire autenticamente al suo tempo era quello di “non inserirsi, non stare al gioco”. Consapevole che nessuna mera rappresentazione di eventi quotidiani potesse descrivere in modo veritiero il mondo di tutti i giorni, egli creò una visione autentica della sua Praga.
Come le bottiglie e i paesaggi di Morandi, i suoi soggetti fotografici rivelano un mondo che esisteva indipendentemente dall’osservatore. Conservando in questo modo la sua libertà artistica, la sua arte ci offre una visione morale – che conserva un valore duraturo, visto che anche noi siamo in balìa del potere retorico delle immagini fotografiche.
Nota:
Il catalogo è Josef Sudek: The Legacy of a Deeper Vision (Monaco di Baviera: Hirmer Verlag, 2012).
Le frasi citate su Morandi sono tratte da un saggio di Sean Scully: Resistance and Persistence: Selected Writings (London: Merrell, 2006).