Brunelleschi o Ghiberti?

Brunelleschi in gara con Ghiberti 

di Fern Rusk Shapley

Fotografie di Clarence Kennedy

 

da: The Art Bullettin, Dicembre 1922, Vol. 5, n. 2

 

traduzione di Andreina Mancini

 


 

Tav. I)  Firenze, Museo del Bargello: I due servi dalla formella in bronzo proposta dal Ghiberti

 

Non sarebbe un’esagerazione molto grossolana affermare che la piccola formella in gara, ora al Bargello, è stata più interessante per gli storici dell’arte del Rinascimento di quanto siano state le porte di bronzo stesse. Poiché lì accanto è appeso il rilievo analogo del rivale Brunelleschi. A causa della loro immediata giustapposizione i due rilievi, realizzati nello stesso tempo e soggetti agli stessi requisiti di dimensioni, forma, disegno della cornice, profondità del rilievo, materiale, e finalità, offrono un’opportunità unica di osservare un’infinità di differenze grandi e piccole nel trattare lo stesso soggetto da parte di mani diverse, e nello stesso tempo permettono di scoprire le peculiarità più sottili e anche più sorprendenti nello stile degli artisti. La decisione dei giudici nel 1403, è inoltre un commento istruttivo sul gusto fiorentino all’inizio del XV secolo. Senza nessuno sforzo d’immaginazione, lo studente di oggi può analizzare l’intero caso, per quanto riguarda Ghiberti e Brunelleschi, e vedere il significato del giudizio emesso.

A prima vista, bisogna ammetterlo, la scelta fra i due sembra relativamente semplice. Per ciò che si percepisce a prima vista, la composizione (Tav.XII), è molto più netta nella formella di Ghiberti, con le sue linee verticali meno confuse, più architettoniche, e con la sua maggiore armonia fra le figure e il paesaggio. Una maggiore dimestichezza tuttavia, rende comprensibile la difficoltà registrata dai giudici originali. Il rilievo di Brunelleschi mostra, infatti, una inaspettata ricchezza di motivi e vivacità di azione; e sembra anche più rifinito e più maturo rispetto a quello di Ghiberti. Ma ancora una volta queste sono impressioni, che ricaviamo dall’organizzazione e dall’effetto generale delle composizioni più che da un esame approfondito dei dettagli; di solito infatti non siamo in grado di studiare i particolari, tanto sono inadeguate le riproduzioni dalle quali siamo costretti a dipendere.

Per queste ragioni, i lettori di The Art Bulletin  accoglieranno con favore i bellissimi eliotipi di particolari dei rilievi in gara realizzati da negativi unici accuratamente creati per lo scopo da Clarence Kennedy. La fotografia di Kennedy è la dimostrazione di ciò che può essere realizzato da un fotografo esperto che in più ha il background di una formazione archeologica e artistica. Non solo fotografa i dettagli ma si preoccupa di scegliere quei dettagli che a parte l’insito merito artistico, sono più rappresentativi e significativi. Riprende un pezzo di scultura, anche se fosse un rilievo come queste due formelle rivali, da diverse angolazioni, e quindi riesce a convogliare sulla superficie liscia delle fotografie ciò che un occhio attento potrebbe ottenere osservando l’oggetto tridimensionale stesso, cioè, una serie di immagini da quei determinati punti di vista che, sia per i contorni, gli scorci, le proporzioni o qualunque altra qualità corporea essi presentino, sono specialmente  caratteristici della scultura in esame. Soprattutto, Kennedy è estremamente attento all’illuminazione e cerca di estrarre le più sottili gradazioni del modellato. Il gioco di luce ed ombra perfettamente calibrato sulla superficie rende le fotografie migliori per certe linee di studio rispetto agli originali, quando questi sono osservati, come avviene regolarmente, sotto una illuminazione in qualche modo fortuita, meno favorevole.

 

Tav. II) Firenze, Museo de Bargello: a Sinistra la Formella presentata dal Ghiberti e a destra quella presentata dal Brunelleschi

 

Nel caso dei rilievi in gara possiamo paragonare certi dettagli delle nostre tavole meglio che nel Bargello stesso. Per esempio abbiamo qui insieme su una tavola (Tav. XIII) la testa e le braccia di Abramo riprese da ognuno dei due rilievi senza nessuna particolare variazione di scala rispetto agli originali. Questa giustapposizione sembra condurre in un unico campo visivo il mondo Classico e quello Gotico. Zeus, come i Greci di Pericle lo concepivano, potente e irresistibile, ma calmo e controllato, è contrapposto al patriarca biblico del Medioevo, nervoso e fiero, che agisce secondo l’impulso del momento. Nell’Abramo del Ghiberti le grandi masse di capelli e di barba, le onde ampie e gonfie dei drappeggi, lo sguardo fiero e sicuro e il movimento del braccio suggeriscono il possente oceano e il continuo sollevarsi e rotolarsi dei flutti. Nell’Abramo di Brunelleschi le spirali dei riccioli, i drappeggi nettamente sovrapposti, l’intensità di espressione e la fulminea spinta delle braccia suggeriscono il roteare di un vortice.

Si potrebbe andare avanti e dire che questo grande contrasto, un contrasto che è intrinseco all’arte del primo Rinascimento, è presente anche nell’Abramo di Ghiberti. L’angolo svolazzante del suo mantello certamente indicherebbe un movimento affrettato se non fosse che il resto del drappeggio (Tav. XV) è sistemato in ferme pieghe eleganti. Artisticamente spiegabile l’angolo svolazzante lo diventa con uno sguardo all’intero rilievo (Tav. XII). Esso serve a sottolineare la linea d’azione del braccio minaccioso di Abramo, e per indicare come una lingua di fuoco verso l’ariete sacrificale assolutore. Serve con il pesante drappeggio che scende dall’altra spalla a tratteggiare la sagoma della figura chinata, e, sfumando verso lo sfondo, a dare all’immagine maggiore risalto: da questi punti di vista corrisponde alla propria natura gotica. Serve fra l’angelo e l’ariete ad occupare parzialmente un vuoto altrimenti sensibile e volendo successivamente aggiunge un tocco di bravura. Naturalisticamente spiegabile l’angolo svolazzante non è, a meno che noi immaginiamo che malgrado la calma apparente da qualche altra parte è stato raggiunto da una brezza passeggera.

 

Tav. IIIa) Formella in Bronzo del Brunelleschi, particolare

 

Tav. IIIb) Formella in Bronzo presentata dal Ghiberti, particolare

 

Nessuna simile fortuita brezza passeggera giustifica il panneggio fluttuante nella formella di Brunelleschi. Qui tutti gli indumenti di Abramo sono spinti indietro violentemente mentre lui si precipita in avanti: possiamo quasi sentirli sbattere dietro di lui (Tav.XII). E l’angelo, che sta arrivando in volo dalla direzione opposta, ha i suoi drappeggi spazzati indietro nell’altro lato della formella  (Tav.IV).

 

Tav. IV) L’Angelo nella Formella del Brunelleschi

 

Così abbiamo l’effetto di un vortice creato qui in un modo più letterale: le tre braccia sembrano essere risucchiate verso il centro, segnato dalla testa di Abramo, mentre gli orli del panneggio e l’altra mano e le ali dell’angelo sono scagliati dalla forza centrifuga verso la periferia.

Brunelleschi si diverte nell’azione. Non sarebbe soddisfatto semplicemente preparando il palcoscenico, con le cose pronte ad accadere: esse devono accadere. Abramo sta realmente conficcando il coltello nella gola di Isacco. Isacco lotta, grida nell’agonia, e assume un’aria di disperazione come se fosse nell’istante stesso di morire. L’angelo non osa attendere per convincere Abramo con le parole; la sua unica speranza di salvare Isacco sta nell’afferrare il braccio del padre disperato e fermarlo istantaneamente.  Nel momento successivo Abramo sarebbe stato gettato all’indietro se non fosse che la sua corsa in avanti, aggiunta alla mole massiccia del suo corpo, è sufficiente per contrastare l’impatto dell’angelo. Ghiberti, meno interessato all’azione rapida, dà a ogni figura una posa che potrebbe mantenere indipendentemente dagli altri, così come l’architettura classica non ha bisogno dei supporti della spinta gotica. Qui tutto è stato predisposto per l’azione. (Tav.V).

 

 

Tav. V) Abramo ed Isacco dalla Formella del Ghiberti

 

Abramo non prova indecisione, ma è più lento e più determinato, così che l’angelo, che viene avanti e volteggia sulla scena, deve solo indicare l’ariete con una mano aggraziata, mentre si tiene a posto la veste con l’altra. Isacco non grida e non lotta; si ritrae sorpreso e rivolge uno sguardo innocente e indagatore verso il padre.

Il rapporto dei due scultori con l’antichità è stato spesso discusso: Brunelleschi copiò lo spinario per fare uno dei servi, un apoxyomenos, apparentemente, per l’altro; la sua testa di Isacco potrebbe essere stata suggerita da qualche testa sulla colonna Traiana, e il suo ariete sta ritto in un’antica posa convenzionale, mentre si strofina la testa con uno zoccolo. Ma malgrado la sua obiettiva imitazione dell’antico in questi dettagli, Brunelleschi ha molto meno dello spirito classico rispetto a Ghiberti. Schlosser, infatti (Austrian Jahrbuch, 1904, p. 151), suggerisce una certa somiglianza tra l’Isacco del Ghiberti e un colossale busto di satiro ora agli Uffizi che secondo una tradizione antica e persistente, anche se non del tutto attendibile, era appartenuto alla collezione del Ghiberti.

Le nostre tavole (V e VI) sono ottime per studiare l’Isacco, e l’analogia, come tante altre, svanisce con un’osservazione più ravvicinata: il torso (riprodotto sulla Tavola 29 della serie Brunn-Bruckmann) è una pergamena molto profondamente modellata, superanatomica, a cui l’Isacco non assomiglia per posa, proporzione o superficie, ciò che i due hanno in comune, tuttavia, è un vago suggerimento di Prassitele. Ma se Ghiberti copiò o no, e per quanto ne sappiamo non lo fece, si avvicinò alla scultura antica più strettamente attraverso un sensibile raffinamento di forma e contorno di quanto non abbia fatto Brunelleschi prendendo lo spunto dall’esterno.

Le nostre riproduzioni sono adatte soprattutto per mostrare le peculiarità degli artisti nella modellazione. Le ampie superfici lisce in alcune parti della formella del Brunelleschi –  per esempio, le maniche dell’angelo e il mantello sulla sua spalla ci ricordano Giotto. Il senso di solidità prodotto da tale metodo è notevole qui come in Giotto. Anche la carne,  viene elaborata allo stesso modo. Osservate come appare soda la carne del braccio di Abramo; i tendini e le vene sono indicati con il minor numero di semplici linee e di cambiamenti della superficie di proiezione. E alcune sporgenze e rientranze audaci segnano il carattere del viso. Quanto è diversa è la superficie mutevole del volto e del braccio dell’Abramo di Ghiberti! Il gioco di luci e ombre sulle leggere modulazioni donano l’effetto di morbidezza  materica.

La nostra tavola che mostra il gruppo a figura intera di Abramo e Isacco (Tav. V) offre una buona occasione per studiare la distinzione di Ghiberti tra i vari materiali. Carne, capelli, drappeggi, stivali, roccia, legna: ognuno ha la sua consistenza peculiare.

Ma con Brunelleschi la distinzione non è così netta. Le mani e le braccia di Abramo hanno l’aspetto duro e metallico che abbiamo già detto, e il panneggio, nonostante le pieghe, sembra di un materiale molto duro, rigido, poco distinguibile dalla carne. La mano dell’angelo esce da un cilindro di metallo invece che da un tessuto morbido. I capelli sono della stessa fragilità. Bisogna riconoscere, tuttavia, che questo tipo di trattamento è in perfetta sintonia con lo spirito della formella del Brunelleschi.

 

Tav. VI a) Il servo, dalla Formella del Brunelleschi

 

Tav. VI b) Isacco, dalla Formella del Ghiberti

 

Nessuna razza dalla carne delicata mostrerebbe un simile irresistibile vigore.  Questa è una razza di uomini d’azione induriti e muscolosi. Non c’è da stupirsi che i critici propongano di vedere nella figura del servo a destra (Tav. VI a) la copia di un’antica statua di atleta e non c’è da stupirsi che la stessa figura sembri presagire i soldati nel cartone della Battaglia di Pisa di Michelangelo. Il servitore si sta semplicemente chinando per riempire d’acqua il suo guscio di conchiglia e bere; ma, improvvisamente sorpreso da un’occhiata sull’azione tragica così vicino a lui, è attraversato da un segnale elettrico che gli fa tendere ogni nervo e ogni muscolo. Subito dopo si alzerà, lancerà via la sua ciotola e salterà sulla roccia più in alto.

La controparte di questo servitore sul lato opposto del pannello è ancora ignara della tragedia. È, come tutti sanno, una copia dello spinario classico.

È interessante confrontare la figura con l’Isacco del Ghiberti (Tav. VI b). Ma quanto sono diversi i due!

E nessuno dei due sarebbe mai stato scambiato per un pezzo classico. Brunelleschi ha dato allo spinario il dolce viso di un angelo gotico, con appena la suggestione di un sorriso che gioca sulle labbra, e ha rivestito la figura in un mantello pesante, che ricade in ampie, belle pieghe. Ghiberti si è divertito molto a studiare il busto del suo Isacco. C’è qualcosa qui che non troviamo in un’opera classica; c’è un maggiore interesse per le minuzie del dettaglio, un resoconto meno sintetizzato dei cambiamenti operati in superficie da ossa, muscoli e tendini sottostanti. La vista laterale della figura che abbiamo nella tav. XVI è molto istruttiva. Mostra la cura con cui questi artisti hanno completato il loro lavoro – non hanno inviato ai giudici del concorso un bozzetto, ma un lavoro finito che (a parte qualche dettaglio frettoloso, come il piede del ragazzo dietro l’asino nella formella di Ghiberti) reggerebbe il più attento esame. Illustra anche quanto detto sopra circa l’autosufficienza delle varie figure della formella del Ghiberti. Ma per la mano di Abramo sulla spalla, la figura di Isacco potrebbe quasi stare da sola come una statuetta indipendente. Clarence Kennedy ha escluso il resto del rilievo con una tenda, cosicché possiamo apprezzare più completamente i contorni squisiti del corpo e l’attraente espressione del viso. Un altro confronto interessante è offerto dalla nostra tavola che mostra l’ariete di Ghiberti e la testa d’asino del Brunelleschi (Tav. VIII).

 

Tav. VIII a) Particolare  dalla Formella del Ghiberti

 

Tav. VIII b) Particolare dalla Formella del Brunelleschi

 

Il piccolo animale di Ghiberti è calmo e gentile, con il suggerimento di un umile inchino nel leggero girare del capo. Brunelleschi, con le linee rapide e dritte di collo, testa, orecchie e gambe che convergono verso un unico punto, ha molto dell’agile forza e animazione che caratterizzano le figure umane di questa formella. E per la modellazione magistrale questo è uno dei dettagli più fini che entrambe le formelle possono offrire.

Si potrebbe preferire la modellazione più dettagliata di Ghiberti nel caso di una figura come l’Abramo o l’Isacco, ma per la testa liscia di un asino, con il suo cranio prominente  ben visibile, non si potrebbe immaginare una tecnica migliore di questo modo ampio, quasi cubistico che cattura e sottolinea i piani importanti.

Se vedessimo nella testa dell’animale e nel servo chino accanto ad esso la realizzazione scultorea del Brunelleschi al suo meglio, potremmo prendere il gruppo dei due servi (Tav. I) nell’altra tavola come non meno rappresentativi del genio del Ghiberti.

Dopo un’opera così colorata come questa, si potrebbe essere sorpresi dalla mancanza di limiti ai quali lo scultore potrebbe giungere nel trattamento pittorico.

Com’è elegante e graziosa questa figura splendidamente drappeggiata, e com’è misterioso e suggestivo il volto dell’altro! Ghiberti non è qui all’inizio del Rinascimento ma al suo apogeo. La sua arte è diventata personale, lirica, introspettiva.1 I ragazzi, quasi coetanei di Ghiberti, si guardano intimamente, profondamente, negli occhi uno  dell’altro. Sembrano già giorgioneschi. Ci ricordano i due giovani in una comunione simile nella famosa Fête Champêtre.  Brunelleschi racconta la sua storia con linee forti e decise. Ghiberti ci lascia qualcosa da immaginare nell’ombra profonda e nella modellazione dolcemente ondulata. Che problema per i giudici fiorentini!

 

Note

  1. Un vero riflesso dell’artista come è rimasto fino alla fine e ha ritratto se stesso nel famoso medaglione, che Mr. Stites ha adattato per l’immagine in copertina.

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