Inoltre ci fu nel 2011 nei grandi spazi del museo Cobra di Amsterdam una doppia mostra di Appel e di Barni. La mostra di Barni riassumeva nei suoi grandi spazi espositivi 50 anni di lavoro, dagli anni 60 alle cose più recenti. E infine ultima apparizione è stata nel 2019 a Art Zuid nelle strade di Amsterdam con tre grandi sculture inviate dalla galleria Marlborough di Madrid.
Conversare con Roberto Barni vuol dire tenere presente un ampio arco di interessi che vanno dall’arte alla filosofia, dove riprendono vita e attualità gli argomenti tanto ostacolati dalla chiesa di Pico della Mirandola e di Erasmo da Rottedam, di Michelangelo e Rembrandt. Viene da pensare come la forza immaginifica di quella epoca sia tutt’altro che esaurita ma che anzi la conoscenza dell’uomo e del suo destino assumano una importanza sempre più irrinunciabile proprio per il nostro futuro.
Non è facile collocare Barni in una corrente particolare dell’arte di oggi. Fino dagli anni Sessanta ha partecipato agli eventi più importanti con grande indipendenza disegnando personalmente una propria e autentica visione senza rinchiudersi in una facile riconoscibilità. L’arte del dopoguerra ha visto nascere e tramontare tantissime tendenze dall’Astrattismo all’Informale, dalle performance alla Pop Art, dall’Arte povera alla Transavanguardia. Barni fin dagli inizi ha usato tutti i materiali e tutte le tecniche che erano a disposizione: dalla pittura alla fotografia, dal calco alla scultura in bronzo. Ha immaginato già negli anni 60 un viaggio nello spazio dell’arte fino a farlo sconfinare nel tempo con eventi come quelli che annunciavano la sua morte e la sua resurrezione o ancora della vita in un altro artista e in un altro tempo con una serie di mostre a nome di Rupertius. E negli anni 80 i grandi cicli dei terremoti dove si avverte la storia che mentre rovina offre innumerevoli prospettive come se fosse una confutazione continua della antica centralità quattrocentesca però colma di grandi ricchezze. E infine la scultura che fino ad allora era stata ancella della sua pittura, si trasforma in una nuova forza immaginativa con la figura umana che dialoga con uno spazio tutto da immaginare fuori da qualsiasi certezza che limiti la sua conoscenza.
Barni appartiene a una generazione di artisti che vede il movimento anche nelle cose più inerti cose che ci appartengono e tuttavia appaiono e scompaiono visibili e invisibili allo stesso tempo caricati di una imbarazzante ambiguità. Roberto Barni in un modo tutto suo personale ha operato una specie di contrappunto della figura umana che si sposta da una direzione all’altra per poi contraddirla. Avanti e indietro una contro l’altra in gruppo e in solitudine, mostrano la loro appartenenza a uno spazio che contraddice la loro esistenza e allo stesso tempo la permette mantenendola sempre su una soglia sottile di un movimento fisico e mentale insieme.
In una retrospettiva di tutta l’opera di Barni si potrà distinguere i suoi due mondi nettamente. Il mondo esterno indicato da forme che connotano lo spazio e il mondo interiore dove l’uomo si divincola in un eterno movimento che trasforma lo spazio ansiosamente nel tempo. Perchè nell’opera di Barni si può considerare il tema dell’uomo come il tentativo di conoscere contemporaneamente il mutare dell’esterno man mano che lo conosciamo e la parte interiore costantemente trasformata dalla conoscenza dell’esterno come se uno dipendesse dall’altro in un perfetto e doloroso movimento che non può pero’ eludere le più impellenti domande sui nostri desideri speranze delusioni e dolori, un umanesimo irrinunciabile che chiede alla esistenza a quale possibile progresso può aspirare l’uomo. E queste sono domande che rendono il volto dell’uomo sempre più impenetrabile e che sono anche la nostra risposta.
Dio non guida il viaggio dell’uomo, Marsilio Ficino ci avverte che se vorremo conoscere Dio dovremo conoscere l’uomo ma non l’uomo dei trionfi, ma un uomo che si ricorda caricandole su se stesso le sue responsabilità. E’ questo l’uomo che sentiamo più vicino a noi l’uomo che non conosce soste e aspira alla conoscenza insieme del mondo e di sé stesso. Il movimento è una costante dell’arte italiana fino dagli inizi, dalla torsione Michelangiolesca attraverso il Barocco fino al Futurismo. L’Italia è sempre in movimento e ha necessità di mostrarlo, da una rondine a una bicicletta a un auto che passa tutto si trasforma in stati d’animo come ha saputo fare Boccioni nei suoi quadri adoperandosi ad andare anche oltre nei profumi nei suoni e nelle infinite particelle. Non solo l’uomo ma anche l’ambiente appare sempre in movimento e non solo la parte visibile. In ogni opera c’è una parte fatta di frammenti unici che appartengono al tempo e allo spazio di un universo visibile e invisibile al tempo stesso. Per rendere visibile questo ambiente e questo mondo Barni non fa differenza tra disegno pittura e scultura le usa tutte con uguale impegno cercando di fare emergere ogni loro specificità e diversità anche quando sono contenute nei limiti di una cornice cerca di farci immaginare un campo visivo più ampio. Un disegno o una scultura si spostano in continuazione dal campo specifico del privato al campo pubblico dell’ambiente e ripropongono sempre il dilemma se l’opera sia una determinazione dell’ambiente o ne sia determinata.
Le sculture per i Paesi Bassi.
Attualmente si trovano negli spazi pubblici olandesi quattro gruppi di sculture nate per innervarsi in quegli spazi addirittura creati per accoglierle da Adolfo Natalini. Una visione urbanistica adatta a creare una simbiosi tra l’opera d’arte l’architettura e l’ambiente. Queste opere vengono sempre a trovarsi nei luoghi più significativi della città dove i passanti creano la scultura nel momento che ne subiscono la presenza. La scultura di Groningen è intitolata ” Appuntamento” e c’è da pensare a un appuntamento con l’invisibile poiché questo viaggio ci racconta una direzione e un procedere impercettibile e controverso.
Roberto Barni, Alberi. Bronzo
Nel centro di Helmond nel 2000 Barni ha completato una fila di alberi con alberi di bronzo di 8 metri immaginifici e antropomorfizzati capaci con i loro rami di raccontare delle storie umanissime che chiariscono la posizione dell’uomo difronte alla ricerca di un propio equilibrio tra la natura e l’ambiente.
Sempre nel 2000 all’Aia nel quartiere di Musenplan dentro due grandi cerchi sospesi in alto come due grandi medaglioni i bronzi di uomini e alberi sono innalzati a rendere visibilità a una quotidianità che fluisce nella piazza sotto di loro. A Doesbourg ha realizzato una grande scultura di bronzo “Passi d’oro” di circa 5 metri con tre figure umane patinate di rosso e con i visi dorati a foglia d’oro, di altezze diverse come se tenessero in sé il principio della distanza e della prospettiva prigionieri in un unico punto da dove però possono irradiarsi nello spazio intorno. Passi d’oro pare raccontare ai molti visitatori e ai fotografi, che queste tre figure in cammino possono inoltre ricordare anche le tre età dell’uomo mentre si accompagnano nella passeggiata ai loro visitatori. Queste sculture cosa raccontano, qualcosa di olandese o raccontano qualcosa della vita e del pensiero italiano? Così inserite nella vita e nel paesaggio fanno scoprire quanto di umanistico appartiene anche al mondo olandese. Sia L’Olanda che l’Italia erano nate dal lavoro e dai commerci e hanno desiderato scoprire e creare nuove possibilità di esistenza e di libertà individuale e prosperità borghese. E’ così in questa libertà che Leonardo e Michelangelo hanno potuto conoscere l’uomo nelle sue parti più nascoste e Rembrandt dipingere le sue lezioni di anatomia e Erasmo e Spinoza hanno potuto indagare l’uomo e le sue responsabilità personali fino dentro la natura. Sono queste libertà che hanno permesso a Van Gogh di immergersi e scandagliare la natura fino dentro se stesso come mai era avvenuto prima. Questi pensatori questi artisti hanno saputo fare qualcosa di memorabile propio del loro viaggio individuale.
Senza voler paragonare le opere di Barni con quelle dei grandi antichi maestri è però in questa tradizione da loro indicata che va letta la sua opera se si vuole capire l’impegno del suo lavoro e comprenderne la reale dimensione e l’ampiezza dei pensieri che vi si agitano. Il novecento ci ha mostrato le grandi rivoluzioni ma oggi è come se in concreto fossimo entrati in un epoca di continua rivoluzione e quindi è una idea di uomo che riemerge sopra tutte le rivoluzioni, un uomo disposto alla conoscenza e ai suoi aggiustamenti continui. Ogni opera ha una sua “meta” storia e una “micro” storia fatta di piccoli eventi personali le età i figli i nipoti gli amici e gli amici che ci lasciano e tutto entra a far parte dell’arte come è sempre stato. L’arte non ha mai abbandonato la vita ma è la vita che la abbandona e l’arte sente che a questo si deve ribellare
Rinnovata attenzione per l’arte narrativa.
Nel 2011 ebbi l’occasione di curare per il museo Cobra di Amsterdam una mostra con le opere di Roberto Barni. Conoscevo le opere pubbliche che si trovano nelle città olandesi e la loro provata disposizione comunicativa negli spazi esterni, ma mi chiedevo cosa sarebbe accaduto negli spazi chiusi di un museo. Insieme all’artista abbiamo fatto la scelta delle opere e dopo aver parlato tra noi Barni mi ha dato un ampia disponibilità e libertà confidando sopratutto sulle capacità di raccontare che hanno le opere stesse nate anche in tempi molto diversi. Ne nacque un allestimento con una grande articolazione dello spazio e una orchestrazione di finezze stilistiche spaziali e temporali che lasciavano al visitatore un senso di transitorietà vissuta piena di stimoli nati in un vasto arco di tempo che andava dagli anni 60 ai giorni nostri. La mostra di pitture e di sculture si trasformò in una felice e viva totalità orchestrale e i visitatori ebbero modo di prendere e di lasciare qualcosa di sé.
Grazie al nostro comune amore per la pietà Rondanini con il suo tormentato movimento tragico continuamente interrotto ci fu un riflesso sulle sculture dei viandanti di Barni e su quel flusso di passi continuo, inquietante e consolatorio insieme e mi apparve in una unione imprevista il destinatario e il mittente insieme.
Gambe in spalla e Colonna bisbetica.
Il carattere narrativo particolare di queste sculture che narrano sempre la stessa storia di oggi da migliaia di anni fu il motivo per Cintha Van Heeswijck direttrice di Art Zuid per far venire alla Biennale di Amsterdam queste sculture direttamente dalla galleria Marlborough di Madrid. Furono esposte nel cuore economico della città nell’epicentro dove la circolazione è frenetica a piedi in bicicletta scendendo e salendo da treni e autobus. Appuntamenti in ritardo o con un piccolo tempo per guardarsi un opera d’arte. Queste opere con accumulo di figure umane davano a questo luogo un duplice segnale quello ironico di ritagliarsi il nostro punto nell’affollamento e nel garbuglio e quello dell’agire per rintracciare la nostra strada per proseguire. Purtroppo dopo alcuni mesi le sculture già così bene ambientate come erano arrivate sono ripartite.
Mentre scrivo questo testo siamo in balia di un Virus il Covid -19 che ha stravolto la nostra vita sociale e economica. Si parla del ruolo che ha avuto l’arte in altre pandemie del passato della necessità di interpretarla e raccontarla e anche per sfuggire alla pressante attualità. Così è nato il Decamerone di Boccaccio. Chissà se in futuro questo tempo verrà ricordato per i suoi momenti di ripensamento e per una revisione dei suoi valori e se saranno ancora gli uomini che troveranno un pò di certezza sfidando il dubbio e l’immaginario fantasioso delle religioni. Chissà gli storici dell’arte del 2045 cosa racconteranno è una sfida senza risposta che noi gli lanciamo.