San Lorenzo 1520
di William E. Wallace
traduzione di Andreina Mancini
La versione originale dell’articolo
La redazione ringrazia il prof. William Wallace per la cortese autorizzazione
a tradurre e pubblicare il suo articolo.
Nonostante la sua storia illustre e le sue numerose opere d’arte, nel 1520 a San Lorenzo mancava, e manca tuttora, una caratteristica importante: una facciata adeguata. Naturalmente, Michelangelo si impegnò moltissimo per creare una splendida facciata interamente in marmo – un’opera che sarebbe stata “lo specchio dell’architettura e della scultura di tutta l’Italia” come egli stesso affermò orgogliosamente – cioè una costruzione che avrebbe rispecchiato i più grandi monumenti dell’antichità classica rivaleggiando con essi.1 Ispirato dalle montagne di marmo di Pietrasanta, Michelangelo promise: “Con l’aiuto di Dio, creerò la più bella opera di tutta l’Italia”2 Alla sua ambizione fecero eco con entusiasmo i Medici, suoi patroni, che annunciarono che la facciata sarebbe stata “una delle più belle cose d’ Italia”.3
Un amico dalla lontana Napoli scrisse a Michelangelo esprimendogli la sua emozione per le “ghrande inprese” dell’artista.4 Venezia ebbe notizia del progetto tramite il patrizio veneto Marcantonio Michiel.5 Perfino la famiglia di Michelangelo, talvolta indifferente, comprese l’enormità della commissione, più volte augurandogli “buona fortuna” e successo nella grande fatica.6 Se la facciata fosse stata realizzata, San Lorenzo, che era già la chiesa più venerabile di Firenze, sarebbe stata anche la più splendida.
Dato l’esterno incompiuto di San Lorenzo, è difficile apprezzare l’intera portata dei sentimenti di euforia di Michelangelo all’inizio della sua impresa, quando l’artista estremamente fiducioso in se stesso prometteva di “addomesticare le montagne” e di creare quello che immaginava sarebbe stata la sua massima opera d’arte – una rivale dell’antichità per dimensioni e splendore materiale – una cosa esagerata tutta di marmo. Sarebbe stata simile al Settizonio, l’antico imponente frontespizio sul colle Palatino a Roma: per materiali, dimensioni e splendore delle decorazioni, un monumento di Roma imperiale trapiantato nella Firenze medievale.
L’ambizione di Michelangelo era condivisa dai suoi contemporanei, dai committenti che erano disposti a sostenere il costo straordinario, e dai Fiorentini che guardavano con stupore ed eccitazione le grandi quantità di marmo che cominciavano ad arrivare dalle cave lontane.7 Fu quindi uno dei momenti peggiori della carriera di Michelangelo quando nel marzo 1520 il Papa Leone X cancellò la commissione. Avendo speso enormi energie e quasi tre anni per la facciata, l’artista fu amaramente deluso. La lettera nella quale elencava le spese, ma anche le fatiche fisiche e mentali, è una delle più lunghe e commoventi che siano mai uscite dalla penna di Michelangelo. Ha trasmesso la sua profonda sofferenza eloquentemente, anche se non intenzionalmente, con la sua prosa appassionata e la ripetizione quasi a ritmo “staccato” della frase “Non gli mecto a conto”:
“Non gli mecto ancora a conto il modello di legname della facciata detta, che io gli mandai a Roma; non gli mecto ancora a conto il tempo di tre anni che i’ ò perduti in questo; non gli mecto a conto che io sono rovinato per detta opera di San Lorenzo; non gli metto a conto il vituperio grandissimo de l’avermi condotto qua per far detta opera, e poi tôrmela….. non gli mecto a conto la perdita”8
E così continua. E’ la seconda più lunga lettera mai scritta da Michelangelo e evidenzia ampiamente la fatica dell’artista e la natura apparentemente volubile dei suoi patroni. Una fatica erculea inutile. La carriera di Michelangelo si era significativamente arrestata. Erano passati quasi dieci anni da quando aveva completato una commessa (il soffitto della Cappella Sistina), e il suo ultimo lavoro noto al pubblico fiorentino era il David, scolpito più di quindici anni prima. Michelangelo aveva appena compiuto quarantacinque anni e ragionevolmente non poteva aspettarsi di vivere ancora per molti anni.
Il reale dispiacere per la cancellazione della facciata fu aggravato dall’ulteriore umiliazione di ricevere la richiesta di presentare una contabilità finale delle spese. Che abbia effettivamente presentato un simile resoconto è confermato da una lunga lettera di rimostranze e in pagine di appunti, compreso un foglio di due facciate dal titolo “Chopia del chonto de’ danari spesi per papa Leone per la faccia di San Lorentzo.”9
Tuttavia, mentre ancora Michelangelo stava completando il suo compito ingrato, era già indirizzato verso un progetto totalmente diverso: la Sagrestia Nuova o cappella dei Medici. Ho scelto di studiare attentamente il momento critico nella storia di San Lorenzo – esaminare il 1520 come una sottile ma ampiamente documentata fetta di storia che ci permette di seguire l’attività di Michelangelo e la sua carriera momentaneamente discontinua nel dettaglio micro-storico, e, per deduzione, di tracciare l’arco del suo stato emotivo estremamente altalenante, dalla profondità della delusione alla rinascita della sua energia e della sua creatività artistica (vedere cronologia allegata). In retrospettiva il 1520 fu un anno molto movimentato e produttivo; inoltre, dimostrò di essere un momento di svolta non solo nella storia di San Lorenzo ma anche nella vita di Michelangelo.
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La cancellazione della facciata non lasciò Michelangelo senza lavoro o senza committenze. Piuttosto, lo obbligò a confrontarsi con una pletora di impegni contrastanti e non soddisfatti. La preoccupazione più immediata dell’artista era la montagna di marmo che aveva scavato, gran parte della quale era ancora lungo la strada dalle cave lontane verso Firenze. Migliaia di ducati erano già stati sborsati, dei contratti conclusi, e una vasta infrastruttura di uomini e materiali era stata organizzata per scavare e trasportare il marmo.10 Centinaia di blocchi erano rimasti in un limbo, molti ancora in montagna, altri sulla spiaggia pronti per essere caricati a bordo di una nave, altri ancora in un’area di sosta a Pisa, pronti per essere traghettati lungo il fiume verso Firenze. Come una ruota gigantesca, una volta in movimento, la spinta manteneva l’operazione in moto per molto tempo dopo che il motore era stato spento.
Per esempio, perfino mentre Michelangelo stava scrivendo il suo lungo elenco di spese, un blocco “per fare una figura per la faccia” fu consegnato nella sua bottega a Firenze.11 Poi, più di tre settimane dopo che la facciata era stata probabilmente cancellata, il collaboratore per il progetto di Michelangelo, Donato Benti, scrisse da Pisa su svariati aspetti di quella che per lui era una operazione ancora attiva e che richiedeva una supervisione a tempo pieno. Benti riferiva che cinque grossi blocchi erano stati caricati sulle barche per essere inviati a Firenze. L’ultimo blocco aveva rotto il braccio della gru, era caduto e aveva fatto affondare la barca. Non solo Benti doveva riparare la gigantesca gru, – il capocavallo – ma doveva tornare a Carrara per un’altra barca e dell’altro marmo. Tuttavia, le piogge avevano reso le strade impraticabili, il cavatore Biagio doveva essere sostituito, Topolino stata lavorando duramente nelle cave e El Zucha aveva quasi finito di sgrossare due colonne monolitiche – una della caratteristiche architettoniche principali della facciata. Benti continuava. Aveva prestato una fune ai barcaioli e quindi se ne doveva comprare un’altra; purtroppo non c’erano buone funi da acquistare a Pisa.12 Queste erano le preoccupazioni di Donato Benti e di conseguenza, di Michelangelo, nel marzo 1520.
Non abbiamo la prova che Benti, o dozzine di altri coinvolti nella complessa operazione di estrazione e trasporto del marmo, fossero stati informati della cancellazione della facciata, né che fossero molto colpiti dal cambiamento di stato del progetto. Secondo la consuetudine, erano state anticipate delle somme e i contratti sarebbero stati onorati. Quasi un anno e mezzo dopo che la commessa era stata sospesa, gli uomini di Michelangelo stavano ancora attivamente estraendo, sbozzando e trasportando marmo.13 Le colonne monolitiche della facciata richiedevano una imbarcazione speciale, che fu allestita soltanto fra la metà del 1520 e l’inizio del 1521. La prima colonna giunse a Firenze nell’aprile 1521, cioè più di un anno dopo la cancellazione della facciata.14
Altre colonne venivano ancora estratte sia a Carrara che a Pietrasanta molto tempo dopo questa data. In giugno, veniva pagato Guccio “fabbro” per forgiare un nuovo paio di carrucole per il capocavallo allo scopo di caricare e scaricare a Pisa ulteriori blocchi di colonne.15 Esattamente a causa di queste attività ancora in corso e di impegni finanziari ancora esistenti, nel maggio 1521 Michelangelo stava ancora ricevendo uno stipendio (“provisione”) dall’Opera di San Lorenzo, quattordici mesi dopo che il progetto era stato cancellato.16 I marmi della facciata sono citati nei resoconti bancari e nella corrispondenza di Michelangelo fino al 1524, e, più di un decennio dopo, ancora sognava di portare a termine la facciata. L’artista non abbandonò con leggerezza il suo impegno fino a quel momento più importante e prestigioso.
Ma nel 1520 il marmo era appena una delle molte preoccupazioni concomitanti di Michelangelo. Un’altra era il suo impegno di vecchia data di scolpire un Cristo risorto.17 I committenti romani, che inizialmente avevano firmato con Michelangelo un contratto nel 1514, speravano di ricevere la scultura finita in appena tre anni. Michelangelo abbandonò una prima figura quando apparve un difetto significativo, spingendolo a ripartire da zero e ordinando un nuovo blocco di marmo.18 Alla fine di dicembre 1518, questo blocco arrivò a Pisa, pronto per essere trasportato lungo il fiume fino a Firenze. Sentendosi colpevole per il ritardo prolungato, Michelangelo scrisse a un amico di Roma, Leonardo Sellaio: “Sono stato di nuovo sollecitato [dal committente] Messer Vari per quella figura, che è ancora a Pisa e che arriverà fra le prime barche. Non ho mai risposto alla sua lettera, e non desidero scrivere a voi sull’argomento finché non avrò cominciato a lavorare sulla figura, perchè sono preoccupato da morire sulla faccenda e sembra che io sia diventato un truffatore contro la mia stessa volontà.”19 In precedenza, gli eredi del Papa Giulio II avevano usato la stessa parola, “truffatore” o “ciurmadore”, descrivendo gli indugi di Michelangelo circa la tomba ancora incompiuta.20 L’artista evidentemente avvertiva il peso crescente di questi impegni irrisolti.
Michelangelo finì di scolpire il Cristo risorto proprio quando la facciata fu cancellata. Il 12 marzo 1520, l’assistente di Michelangelo, Pietro Urbano, riferì che la statua era stata caricata su una barca a Pisa, pronta per essere trasportata a Roma.21 Quando Michelangelo informò i committenti romani, la notizia – visto che avevano aspettato sei anni – suscitò espressioni come “Dio sia lodato” e “Pensavo che non avrei mai visto quel giorno”.22 Ma Michelangelo non aveva ancora finito, perché era anche responsabile di un subappalto per scolpire un’edicola in cui collocare la statua in Santa Maria sopra Minerva a Roma. La corrispondenza di Michelangelo ci permette di seguire questi avvenimenti nel dettaglio, compreso il procedere terribilmente lento della figura ormai finita da Firenze a Roma, che fu ripetutamente ritardato a causa del maltempo e di un sequestro temporaneo della scultura alla dogana di Roma.23
L’intera saga durò più di diciotto mesi e provocò periodicamente difficoltà sia a Roma che a Firenze. Quando arrivò la notizia che la statua era stata danneggiata dall’inaffidabile assistente Pietro Urbano, Michelangelo si offrì di scolpire di nuovo la statua – una terza volta! Questo relativamente piccolo ma fastidioso grattacapo offre lo sfondo al dramma principale del 1520: lo spostamento dell’attenzione e delle risorse dalla facciata alla nuova sagrestia di San Lorenzo. E, come vedremo, la preoccupazione periodica di Michelangelo a proposito della tomba di Giulio II non fu mai lontana dal trasformare un persistente mal di testa in una vera e propria emicrania. Nel frattempo, l’artista dovette affrontare un più immediato e preoccupante sviluppo: il sequestro del suo marmo.
Nella lunga diatriba autogiustificativa di Michelangelo, che riassumeva la storia e le spese della facciata cancellata, egli si lamentava perché l’Opera di Santa Maria del Fiore di Firenze aveva mandato degli scalpellini “per impadronirsi dei marmi (della facciata)”, ma contestava la proprietà e la giustificazione legale per una simile espropriazione.24 Fu un ulteriore affronto quando il Cardinale Giulio de’ Medici “mi disse di presentare un resoconto del denaro ricevuto e delle spese fatte e ha detto che desidera liberarmi, così che può ritirare, sia per l’Opera che per sé, quei marmi che vuole dai succitati lavori a Seravezza.”25 Michelangelo era furioso perché affermava che nè il cardinale nè l’Opera avevano l’autorità di impadronirsi del suo marmo. Nel momento in cui scriveva, Michelangelo era chiaramente consapevole – visto che tornava sull’argomento tre volte nella stessa lettera – che parte del suo prezioso marmo sarebbe stato tagliato sottilmente e usato per pavimentare la tribuna di Santa Maria del Fiore: del marmo costoso, destinato a una grandiosa facciata all’antica, usato per un umile servizio come pavimento per sudici piedi.26 Questa umiliazione era aggravata dal fatto che una simile espropriazione stava avvenendo nello stesso identico momento a Roma. Nel marzo 1520 Michelangelo venne sapere dall’amico Federigo Frizzi che dei blocchi destinati alla tomba di Giulio II venivano sottratti dal porto fluviale di Roma: “cercando i vostri marmi, ho visto che ne rimanevano solo due.” Frizzi scriveva evidentemente allarmato, e si chiedeva se Michelangelo avesse dato il permesso di rimuoverli.27 No, non lo aveva dato. Era già preoccupante che il marmo della tomba di Giulio II fosse stato lungamente esposto alle intemperie; ora venivano apertamente trafugati. “Quasi tutti i marmi che avevo sono stati rubati, specialmente i pezzi più piccoli,” più tardi Michelangelo così si lamentava.28 Agostino Chigi, per esempio, si prese due blocchi di quattro braccia e mezzo, marmo del valore di più di cinquanta ducati.29 Visto che c’erano testimoni, Michelangelo poté dimostrare il furto ma alla fine riuscì a concludere poco.
Michelangelo commise ripetutamente l’errore di pensare che il marmo che aveva estratto appartenesse a lui; persino Frizzi si riferisce ad essi come “marmi vostri”. Ma le cose erano molto più complesse. I committenti davano all’artista delle somme fisse per intraprendere le operazioni di scavo; con questi anticipi, Michelangelo pagava i cavatori e le spese di trasporto. Se un blocco veniva perso o danneggiato durante il viaggio, la perdita era di Michelangelo. Quindi, il marmo era responsabilità sua e di conseguenza, in un certo senso, suo. D’altra parte, il marmo era stato acquistato con fondi anticipati dai committenti, così alla fine apparteneva ai committenti. Come minimo, i committenti avevano ogni diritto di disporre come meglio credevano dei marmi estratti.30 Ciononostante, l’espropriazione del marmo duramente guadagnato suscitava l’ira di Michelangelo. Ed era ancora peggio essere personalmente testimone di un simile saccheggio in Santa Maria del Fiore, dove nello stesso tempo era coinvolto in un diverso progetto, anch’esso alla fine non realizzato.
Alcuni anni prima, Michelangelo aveva fornito un disegno per il rivestimento incompiuto fra il tamburo e la base della cupola di Brunelleschi. Benchè il progetto fosse del 1507, fra il 1516 e il 1520 Michelangelo si rivolse ad esso con rinnovato interesse.31
Un terminus a quo può essere offerto con il disegno più sviluppato di Michelangelo per il tamburo (Casa Buonarroti n. 66A recto), poiché il verso presenta un ulteriore schizzo per il progetto, e anche la bozza di una lettera databile al giugno 1520.32 Un disegno corrispondente mostra schizzi per lo stesso progetto del tamburo, e, sul verso, una serie di calcoli riguardanti la costruzione del primo e unico laboratorio permanente in Firenze (Foto 1).33 Quindi, questi due fogli dimostrano la coincidenza di tre interessi post-facciata nel 1520: un disegno per il tamburo della cattedrale, la sottrazione del marmo di Michelangelo, e la costruzione di un laboratorio fiorentino. Solo l’ultimo ebbe un esito positivo.
Si potrebbe legittimamente dedurre che il laboratorio fiorentino di Michelangelo fosse al centro della sua attività durante l’intervallo fra la facciata cancellata e la cappella dei Medici. Dopo tutto, a Michelangelo serviva una vasta proprietà per depositare le centinaia di blocchi di marmo già consegnati o ancora in procinto di essere consegnati a Firenze e aveva bisogno di un posto per lavorare alla nuova commessa. In realtà, Michelangelo acquistò due diversi laboratori vicini l’uno all’altro, al confine nord-ovest di Firenze.34 Per semplicità, mi riferirò ad essi insieme, come spesso faceva Michelangelo, come suo laboratorio in via Mozza. Come principale luogo di lavoro e di deposito, il laboratorio di via Mozza non fu abbandonato insieme alla facciata. Piuttosto, esso fu il luogo fisico in cui Michelangelo lavorava su tutti i progetti per San Lorenzo, e anche il posto in cui scolpì il Cristo risorto, i Prigioni dell’Accademia, David/Apollo, e la Vittoria, oltre a servire da magazzino per le attrezzature e per centinaia di blocchi di marmo.35
Nel 1518, Michelangelo acquistò il primo appezzamento di terreno dal capitolo del Duomo.36
Era situato in una zona di Firenze sottosviluppata all’estremità nord di via Mozza (la moderna via San Zanobi), all’incrocio con via delle Ruote, presso le mura della città e l’antico convento di Santa Caterina. Su un disegno della proprietà (Foto 2), Michelangelo scrisse l’indicazione “el terreno ch[e] io o co[m]p[r]ato/ dal Capitolo di Sa[n]ta maria/ del Fiore – con la denominazione delle strade vicine e le misure del fronte strada in braccia.37 La proprietà si trovava a circa dieci minuti di strada a piedi da San Lorenzo e benché fosse ampia circa 4,300 m2 (secondo le misurazioni fatte da Michelangelo), si dimostrò inadeguata per le necessità dell’artista. L’area è ora edificata (Foto 3), ma le strade non sono per niente cambiate e la proprietà è identificabile sulle mappe fiorentine, compresa quella di Stefano Bonsignori, fin dal 1584.38
La più completa e accurata delimitazione di questa proprietà si trova nel recto di Casa Buonarroti 12A (Foto 4), che rivela che, avendo fatto un’aggiunta all’acquisto originale, la proprietà del laboratorio, ora incrementata di più di 1200m2, presenta una planimetria più complessa.39 La proprietà dalla pianta irregolare porta l’indicazione delle vie confinanti (per esempio “la via nova in via S.Gallo”) e elementi topografici limitrofi, come il portico d’ingresso di Santa Caterina,- indicato con tre sottili pilastri in basso a sinistra – e le mura della città in alto, denominate “lungo delle mura.” Il verso di questo stesso foglio è pieno di calcoli matematici, non di mano di Michelangelo. In effetti, probabilmente a causa della natura complessa dei calcoli, Michelangelo li affidò a un matematico più esperto.40 Come vedremo, le capacità matematiche dell’artista erano piuttosto limitate.
Molte spese di Michelangelo per la costruzione del laboratorio e per migliorare le proprietà di via Mozza sono ancora esistenti, – visibili in una serie collegata di lettere, appunti e disegni, compreso quello con lo schizzo del tamburo del duomo di cui abbiamo parlato sopra (Foto 1).41 In cima al foglio, Michelangelo annota che un muro costruito per chiudere una parte della proprietà misurerebbe 357 braccia quadrate, al costo di tredici soldi per braccio.
Sotto c’è una griglia di quadrati che è un sistema di calcolo usuale in Michelangelo, benché laborioso, cioè come visualizzava le operazioni matematiche in modo caratteristico. In questo caso, cinque file di venti caselle sono delimitate da una riga, con un doppio segno di spunta sotto ogni fila, che indica il raddoppio del numero – quindi 5 x 2 x 20 – con il risultato di duecento soldi, che quindi è scritto in basso a destra.42 Prima di provare a spiegare il noioso metodo per la moltiplicazione di Michelangelo e immaginare la sua limitata capacità di far di conto, esaminiamo una serie di altri fogli tutti relativi a via Mozza, nei quali usa ripetutamente questo stesso metodo di calcolo.
Fra i molti disegni nei lavori di Michelangelo c’è un grande foglio nella Casa Buonarroti (Foto 5), mai esibito e poco discusso, forse comprensibilmente, dato che è poco più di un foglietto di appunti con una serie confusa di calcoli, schizzi e note varie.43 Tutto sul foglio si riferisce al miglioramento della proprietà di via Mozza, dal calcolo dei metri quadrati – sul lato sinistro del recto – alla determinazione della misura del muro da costruire e alle fondazioni da scavare. Sul lato destro del recto, Michelangelo disegnò una pianta approssimativa della proprietà e fece un confronto dei costi: un pozzo profondo dieci braccia – cioè undici spunte intervallate da punti, costerà quattro ducati, uno di tredici braccia costerà sette ducati.44 Rivolgiamo ora la nostra attenzione al verso dello stesso grande foglio che mostra un lavoro più intenso (Foto 6). La pagina è piena di calcoli che riguardano miglioramenti al laboratorio, compreso il costo per scavare le fondamenta, costruire i muri, e fare le finestre. Per esempio, Michelangelo scrive: ”questo muro è lungo 28 braccia e alto 6 braccia”, e per calcolare il costo a dodici soldi a braccio, disegna una serie di ventotto caselle segnate, con l’altezza del muro indicata, a sinistra, da sei segni di spunta con un punto, ciò che gli permette di calcolare il costo totale in quindici ducati e cinque lire.
Sopra e a destra di questo calcolo ci sono due grandi tabelle quadrate. Questi sono esempi di come Michelangelo rappresentava anche cifre più alte. Girando il foglio di 90 gradi, prima disegnava una grande griglia di caselle, larga diciotto e alta ventiquattro. Per moltiplicare diciotto per ventiquattro, conta e segna tutte le caselle della griglia, scrivendo il numerale romano “c” quando arriva a ogni centinaio. Quindi, segnando e contando le caselle della griglia di diciotto per ventiquattro, è arrivato al corretto totale di 432, somma che scrive in alto nella forma di CCCC32. Semplicistico e sorprendentemente noioso.
Questo è un sistema di calcolo geometrico e visivo piuttosto che aritmetico, e senza dubbio riconducibile alle esercitazioni sull’abaco, in cui si muovono e si contano delle palline in raggruppamenti visivi.45 Il “sistema”, se così possiamo chiamarlo, è come minimo poco pratico, ma come un abaco, è molto visivo e evidentemente serviva allo scopo di Michelangelo.46 E, in effetti, è come il modo in cui spesso i bambini sono introdotti alla moltiplicazione: il numero da moltiplicare è rappresentato da un numero di caselle lungo gli assi x e y, per ottenere la risposta si riempie la tabella e si contano le caselle. Michelangelo era più a suo agio “vedendo” le somme invece di arrivarci con metodi aritmetici, più astratti. Su altri fogli, per esempio, in realtà scrive 2 +2 =4, e 1400 + 40 = 1440 (per es., Foto 5), calcoli che la maggior parte delle persone riesce a fare senza ricorrere alla scrittura.47 Incapace di eseguire a memoria persino dei calcoli a una cifra, Michelangelo tendeva a visualizzare la maggior parte delle operazioni matematiche, comprese le moltiplicazioni a due cifre. E’ anche curioso che Michelangelo, che tracciava linee rette con estrema precisione, sia così disordinato quando disegna queste tabelle per il calcolo.48 Stiamo vedendo il disagio innato di Michelangelo di fronte al pensiero numerico piuttosto che a quello architettonico? E’ indubbio che l’intelligenza eccezionale di Michelangelo, tuttavia, non si manifesta nell’arena di una abilità numerica. E qual è l’importanza di tutto questo? Su una mezza dozzina di disegni e quasi una dozzina di fogli di appunti e di spese, Michelangelo dimostra il suo enorme interesse di costruire un laboratorio fiorentino adeguato. Un simile interesse è confermato più che ampiamente da una lunga corrispondenza con Roma e dai suoi fitti negoziati con il capitolo della cattedrale e con il Cardinale de’ Medici circa l’acquisto iniziale di un laboratorio, una riduzione del prezzo e dai ripetuti sforzi per espandere e migliorare le sue strutture lavorative.
Per la maggior parte, questi disegni e i documenti relativi non sono interessanti di per sé; essi sono poco più che tracce insignificanti di preoccupazioni quotidiane. D’altra parte, essi testimoniano alcuni problemi dell’artista prima e molto tempo dopo la cancellazione della facciata di San Lorenzo. Quando Michelangelo rivolse la sua attenzione verso la cappella dei Medici, era preparato a svolgere la nuova commessa con un laboratorio grande e ben equipaggiato. E aveva una sovrabbondanza di marmo, molto del quale alla fine cambiò strada da un progetto all’altro. Potremmo vedere il laboratorio di Michelangelo come un ponte dalla facciata alla nuova commessa, evidentemente aiutando l’artista infuriato nella transizione da una seria delusione a un nuovo incarico: la cappella dei Medici.
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Come dimostrato da Caroline Elam, la commessa per la cappella Medici è datata 1519, circa nove mesi prima della cancellazione della facciata.49 La cappella fu progettata nel giugno 1519, e la costruzione iniziò nel novembre dello stesso anno. Dato che il Cardinale Giulio de’ Medici era allora residente a Firenze, lui e Michelangelo devono aver parlato spesso della nuova commessa.50 Quindi, si potrebbe supporre che la cancellazione avvenuta nel marzo 1520 non sia stata del tutto una sorpresa per Michelangelo. Tuttavia, questo non ha attenuato la delusione né liberato l’artista da obblighi ancora presenti. Data la sua responsabilità per gli uomini e il materiale relativi alla commessa della facciata, è forse comprensibile che Michelangelo resistesse o non volesse vedere le mutate priorità del committente. Inoltre, lo spostamento da un progetto all’altro era molto più facile da esigere per il committente che da realizzare da parte di Michelangelo. Mentre i due discutevano fra loro, a Firenze continuava ad arrivare il marmo, che Michelangelo intendeva destinato alla facciata e il cardinale ad altri scopi. Raccontando la vita e la carriera di Michelangelo, a questo punto gli storici tendono a sorvolare sulla facciata non realizzata allo scopo di dare inizio al nuovo progetto, spesso ricorrendo a un capitolo di pausa per introdurre la cappella dei Medici. Tuttavia vita, emozioni e obblighi non trovano facilmente posto dentro capitoli separati. Quindi, benché già profondamente immerso nella cappella dei Medici fino dal marzo 1520, per Michelangelo non sarebbe stato ovvio, – come avviene in retrospettiva per gli storici – che la facciata non sarebbe mai stata ripresa oppure che la sua nuova fatica avesse maggiori probabilità di essere completata (in effetti la cappella dei Medici non fu mai interamente realizzata).
Dal primo giugno 1520, Michelangelo iniziò a ricevere una paga di ventiquattro ducati al mese per il suo lavoro alla cappella dei Medici. I regolari pagamenti sono confermati nei registri della banca Salviati, finanziatori della facciata e del progetto della nuova cappella.51
Nell’autunno 1520, Michelangelo non solo riceveva uno stipendio mensile, ma era completamente impegnato a disegnare la decorazione interna della cappella. Con il ritorno a Roma del Cardinale Giulio de’ Medici, abbiamo un improvviso aumento della corrispondenza riguardante la nuova commessa, e un ottimo mezzo per seguirne il progresso. Il 23 novembre 1520, Michelangelo inviò a Roma il primo disegno per un monumento funebre isolato e il cardinale manifestò il proprio compiacimento per aver ricevuto “el desegno o schizo della capella.”52 Esaminando il disegno inviato, il Cardinale de’ Medici acutamente notò che poteva non esserci abbastanza spazio nella cappella per una statua indipendente. E così iniziò un periodo di quattro mesi in cui venivano discusse alternative attraverso uno scambio di lettere e di disegni fra Roma e Firenze. Alla fine, Michelangelo e il committente decisero per tombe vicine al muro. Nel marzo 1521, esattamente un anno dopo la cancellazione della facciata di San Lorenzo, Michelangelo era pronto a cominciare il lavoro sui monumenti della cappella dei Medici. Come al solito, gli serviva ancora altro marmo! Questo preciso momento è indicato in una lettera datata 1 marzo 1521 che Michelangelo ricevette dal suo assistente Pietro Urbano.53 Riferendo del trasporto del Cristo risorto a Roma, Urbano informò Michelangelo che la nave era stata ritardata dal mare mosso; tuttavia, lo stava aspettando “chon devotione”. Da quel momento, i dissapori di Michelangelo con Urbano furono numerosi e in breve tempo l’assistente sarebbe stato comunque licenziato. Mentre il comportamento di Urbano e le sue numerose malefatte sicuramente aumentavano le preoccupazioni di Michelangelo, questo sarebbe poco evidente dalle prove disponibili dato che l’artista appare completamente assorbito dal suo progetto di quel momento: la cappella dei Medici. Voltando la lettera di Urbano, Michelangelo usò il lato posteriore per fare alcuni schizzi e calcoli relativi alle tombe dei Medici (Foto 7).54
Nello spazio disponibile a sinistra dell’indirizzo, Michelangelo disegnò le figure nella posizione relativa a uno dei monumenti dei Medici. I semplici tratti suggeriscono le forme approssimative dei blocchi di marmo che a breve avrebbe ordinato nelle cave. Si tratta di allegorie distese sopra un sarcofago, delle divinità dei fiumi al di sotto, e sopra questi – spostata a sinistra per evitare l’indirizzo della lettera – la figura del duca resa in modo schematico, affiancata da due figure in piedi. Dentro ogni schema Michelangelo ha tracciato sei tacche, probabilmente per indicare quanti blocchi di quella dimensione dovevano essere ordinati oppure perchè c’era già l’idea di aggiungere due tombe alle quattro iniziali, o perché – ed egli ne era ben consapevole – alcuni dei marmi avrebbero quasi certamente presentato dei difetti. Michelangelo era un ingordo per quanto riguarda il marmo. Una settimana più tardi Michelangelo ricevette duecento ducati dal cardinale de’ Medici per acquistare del marmo, e immediatamente partì per le cave.55 La fase successiva della storia è documentata dai numerosi disegni dei blocchi di marmo estratti dalle montagne.56 Mentre si trovava nelle cave Michelangelo riempì un taccuino con disegni che indicavano la forma e le dimensioni di settanta blocchi (per es. Foto 8), e questo potrebbe corrispondere ai settanta segni sulle caselle della tabella abbozzata sul retro della lettera di Urbano. (Foto 7)57
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In poco più di un anno (marzo 1520–aprile 1521) fra la cancellazione della facciata e l’ordine del marmo per la cappella dei Medici abbiamo molti disegni, pagine e pagine di note personali di Michelangelo, e una grande abbondanza di documenti bancari. Esistono inoltre quarantacinque lettere per e da Michelangelo, e la dimostrazione dell’esistenza di almeno altre trenta lettere, ciò che significa una lettera scritta o ricevuta ogni cinque giorni. La corrispondenza rivela ulteriori aspetti dello stato d’animo di Michelangelo e la sua costante attività durante questo lungo periodo di transizione. Per esempio, nell’ottobre 1520, lo scultore Vittorio Ghiberti da Napoli chiese se Michelangelo poteva fornirgli del marmo, cinquantacinque blocchi, per il quale l’artista prese subito accordi con i suoi cavatori di Carrara – un caso evidente in cui Michelangelo faceva da padrone o mercante di marmo o almeno da intermediario ben introdotto.58
Al suo amico Sebastiano del Piombo fece un favore diverso. A seguito della morte di Raffaello nell’aprile del 1520, Sebastiano chiese a Michelangelo di supportarlo nella sua sfida di portare a termine la decorazione delle Stanze vaticane.59 Michelangelo lo accontentò scrivendo una lettera scherzosa al potente Cardinale Bibbiena:
“Io prego la vostra Reverendissima Signoria, non come amico o servo, perché io non merito esser nè l’uno nè l’altro; ma come omo vile, povero e matto, che facci che Bastiano Veniziano pittore abi, poi ch’è morto Raffaello, qualche parte de’ lavori di Palazo: e quando paia a vostra Signoria in un mio pari gittar via el servizio, penso che ancora nel servire e’ matti, che rare volte si potrebe trovare qualche dolceza; come nelle cipolle per mutar cibo fa colui ch’è infastidito de’ caponi.”60
Affermando che un simile “servizio fia grandissimo”, Michelangelo stava implicitamente riconoscendo il suo tuttora esistente debito verso Bibbiena, che più di un anno prima aveva richiesto all’artista un lavoro a nome del re Francesco I.61 Michelangelo esitava a scrivere a Bibbiena perché la sua richiesta avrebbe comportato in cambio un favore, che era già dovuto da tempo e si sarebbe solo aggiunto agli altri impegni già esistenti.62 Passarono quasi due mesi prima che Michelangelo si decidesse a scrivere e nel frattempo l’incarico era stato affidato agli allievi di Raffaello. Sebastiano tuttavia non cedette e continuò ad assillare il suo amico per altri quattro mesi.63 Nel frattempo, Bibbiena era così divertito dalla lettera di raccomandazione di Michelangelo che la mostrò in giro per il Vaticano, compreso il papa,”cosicché nel palazzo non si parla d’altro, e ha fatto ridere tutti”.64
Michelangelo cominciò a scrivere la bozza della sua lettera al Cardinale Bibbiena sul disegno per il tamburo di Santa Maria del Fiore, già citato (Casa Buonarroti 66A).65 Quindi la lettera offre uno sguardo sul comportamento dell’artista nel mondo del potere politico e evidenzia le sue molteplici preoccupazioni a metà del 1520: un obbligo ancora in sospeso verso importanti committenti (Bibbiena/Francesco I), contemporaneamente il lavoro sul tamburo del Duomo e il laboratorio di via Mozza, il suo desiderio di essere patrono e intermediario per i suoi amici (Vittorio Ghiberti/Sebastiano), e la sua abilità a disegnare con cura (questo era soprattutto uno schizzo) una lettera di raccomandazione brillante e spiritosa. Non citati ma non senza importanza gli ulteriori problemi relativi al progetto cancellato della facciata, il lavoro nella cappella dei Medici e i suoi obblighi ancora esistenti verso gli eredi di Giulio II e i committenti romani che stavano ancora aspettando il Cristo risorto.
La morte di Bibbiena nel novembre 1520,66 seguita meno di un mese dopo da quella del Papa Leone X, deve aver ricordato a Michelangelo la propria mortalità e la propria posizione delicata con finanze incerte e un gruppo di amici, committenti e progetti in costante mutamento.
In effetti nell’aprile di quello stesso anno Michelangelo stesso si era ammalato gravemente, per la costernazione dei suoi premurosi amici.67 Mentre era malato, Michelangelo aveva saputo della morte di Raffaello, che gli aveva causato “grande infelicità”. Questo commento è stato interpretato come “sarcastico”,69 ma probabilmente riflette un sentimento autentico. Raffaello aveva trentasette anni, Michelangelo già quarantacinque – cioè molto oltre il dantesco “mezzo del cammin di nostra vita”. I pensieri di Michelangelo non si allontanavano mai dalla morte.70 E ancora un’altra morte lo stesso anno esasperò grandemente la situazione.
Il Cardinale Leonardo Grosso della Rovere (Cardinale “Aginensis”) era uno dei principali esecutori delle volontà del papa Giulio II, e un revisore dell’ancora incompleto monumento papale. Quando nel settembre 1520 della Rovere morì, fu sostituito dal molto meno simpatico
Francesco Maria della Rovere (1490–1538), un altro nipote di Giulio II.71 In contrasto con il parente appena deceduto, Francesco Maria mostrò molta meno pazienza con Michelangelo e divenne sempre più assillante con le sue richieste. Il risultato immediato fu la pressione perché l’artista si recasse a Roma a stipulare nuovi accordi per portare a termine la tomba – ancora incompleta, quindici anni dopo che era stata iniziata. Già impegnato con la cappella dei Medici, Michelangelo poté temporaneamente ignorare queste nuove richieste; tuttavia questo non le eliminò e non eliminò neppure l’ansia causata dal persistente assillo del committente e dei suoi zelanti tirapiedi. Le tensioni montarono. Si tratta per lo più di frammenti di carte. Tuttavia, le prove incomplete ci permettono di intravedere un artista molto impegnato, che lavora su molti fronti, eccetto quello che ancora gli interessava di più: la facciata di San Lorenzo. Oltre a un grande modello in legno (nella Casa Buonarroti) e una enorme quantità di marmo fermo in un limbo, ciò che rimane di questo episodio prolungato e alla fine deludente sono residui per lo più insignificanti: disegni, lettere e appunti di interesse soprattutto specialistico, e anche una pletora di ulteriori preoccupazioni apparentemente mondane, come in questo stesso periodo l’interesse verso questioni sartoriali: acquistò del tessuto a coste bianco e nero per farne calze, un fine e costoso “serge” per un soprabito nero lungo e “serge” di seta per far cucire un farsetto per il suo assistente.72 Benché numerose, le tracce documentali svelano un artista al massimo della creatività ma con poco da mostrare. Cosa potrebbe Michelangelo affermare di aver realizzato nel 1520 o durante la maggior parte del decennio precedente?
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Visto che non fu mai realizzata, è difficile afferrare ciò che l’incarico per la facciata di San Lorenzo significava per Michelangelo e immaginare quanto fu profonda la sua delusione quando il progetto fu cancellato. Ma paradossalmente, l’anno della massima battuta d’arresto professionale fu anche l’anno della sua maggiore soddisfazione personale, che giunse con la prova che era imparentato con una delle più antiche e prestigiose famiglie italiane.
Michelangelo era uno di una manciata di artisti, compreso Donatello, Alesso Baldovinetti e Leon Battista Alberti, che erano nati in famiglie patrizie. Malgrado la relativamente modesta origine paterna, attraverso la madre Michelangelo vantava legami di sangue con due importanti famiglie fiorentine: i Del Sera e i Rucellai. Dichiarava orgogliosamente che la sua famiglia aveva pagato tasse a Firenze per trecento anni, inserendola quindi in una élite di “buone famiglie”.73 Ma già da molto tempo Michelangelo era a conoscenza di una storia di famiglia ancora più significativa. Secondo la creativa genealogia dell’epoca, i Buonarroti pretendevano di discendere dai medievali conti di Canossa, un’antica e illustre famiglia della quale faceva parte la leggendaria Contessa Matilda (1046–1115). Matilda era una figura di statura mitica grazie al suo ruolo di protettrice del papato e per le sue donazioni alla chiesa di vaste terre in Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana. E’ un personaggio importante nella Divina Commedia di Dante, lodata come “donna veramente eccezionale” nel Cortegiano di Baldassare Castiglione e considerata speciale patrona di Firenze..74
Michelangelo crebbe con simili esaltanti leggende. Mentre la sua fama cresceva, aumentava anche il suo desiderio di accertare la verità sulle origini della sua famiglia. Nel giugno 1520, Michelangelo si trovava a Seravezza per pagare il marmo estratto per la facciata già cancellata.75 Poco dopo, inviò il suo assistente, Giovanni da Reggio, come emissario personale all’attuale conte Alessandro di Canossa, allora residente nel castello di Bianello, (Reggio-Emilia). La visita ebbe come risultato una lettera di Alessandro indirizzata “al mio amato e onorato parente, messer Michelangelo Buonarroti di Canossa.”76 Il conte assicurava l’artista che una ricerca fra le carte di famiglia confermava il legame fra le loro famiglie, e invitava Michelangelo a visitare la casa ancestrale (“la casa vostra”). La conferma dell’illustre ascendenza avvenne proprio sette mesi dopo la cancellazione della facciata di San Lorenzo – una significativa delusione fu quindi in parte sanata da un nuovo sentimento di elevata autostima.
E’ poco importante che ora noi dubitiamo della parentela di Michelangelo con i conti di Canossa, come credevano fermamente l’artista e i suoi contemporanei. Quando Sebastiano del Piombo venne a sapere degli antenati del suo amico, esclamò familiarmente ”Che cosa gloriosa; ti dà fuoco al cervello.”77 Un antico biografo anonimo affermò decisamente: “Michelangelo, figlio di Lodovico Buonarroti Simoni, fiorentino, di nobile e antichissimo lignaggio.”78 E ancora più importante, la sua discendenza fu affermata con enfasi nelle righe iniziali della biografia di Ascanio Condivi: “Michelangelo Buonarroti, quel famoso scultore e pittore, trasse le sue origini dai conti di Canossa, nobile e illustre famiglia del territorio di Reggio attraverso la loro stessa qualità e antichità e anche la loro relazione col sangue imperiale.”79 Pochi artisti hanno mai affermato che del “sangue imperiale” scorreva nelle loro vene e pochi sono stati così influenzati dalla convinzione di appartenere a una famiglia nobile. Niente interessava di più a Michelangelo e niente ha influito altrettanto sul resto della sua vita. Quindi, il 1520, anno di massima delusione, fu anche l’anno in cui Michelangelo poté proclamare il suo elevato stato sociale. Tuttavia, la mancanza di realizzazioni artistiche recenti devono averlo ancora ferito.
In effetti, dovremmo chiederci – come Michelangelo, ora quarantacinquenne, potrebbe essersi chiesto – cosa aveva realizzato negli ultimi cinque anni e più? Dal ritorno dell’artista a Firenze nel 1516, aveva completato appena una scultura, il Cristo risorto. Per giunta, la lunga e tortuosa storia di quell’opera – che aspettava ancora l’installazione finale in Santa Maria sopra Minerva, non offriva grande soddisfazione; in più, visto che era stata mandata a Roma, era di scarso interesse per i contemporanei fiorentini. Più di quindici anni prima, Michelangelo aveva scolpito la Madonna di Bruges, ma anche quella scultura era stata esportata ed era così poco nota che i suoi biografi Giorgio Vasari e Ascanio Condivi erroneamente pensavano che fosse in bronzo.80 Sia il Cristo risorto che la Madonna di Bruges contribuirono poco alla reputazione fiorentina di Michelangelo. Suo padre, parlando con campanilismo fiorentino, un giorno aveva ricordato al figlio: “l’onore vale di più nel proprio paese e in casa.”81 Le ultime sculture in marmo fatte da Michelangelo per Firenze erano i tondi Taddei e Pitti e il David, ma solo l’ultimo era conosciuto essendo di pubblico dominio, e anch’esso era stato scolpito più di quindici anni prima. Questo punto va sottolineato: grazie alla nostra familiarità con l’intera impressionante opera di Michelangelo, tendiamo a trascurare quello che potrebbe essere stato più importante per l’artista e per i suoi contemporanei: la sua attuale mancanza di risultati. Cosa aveva realizzato recentemente, localmente, e a Firenze? Aveva poco da mostrare come lavoro degli ultimi anni, e tutte le ragioni per essere preoccupato per la propria reputazione (da qui l’effettiva importanza della lettera ricevuta dal Conte Alessandro di Canossa)
Dopo la terribile delusione dell’incarico per la facciata di San Lorenzo, Michelangelo deve aver sentito l’enorme peso di una promessa non mantenuta, specialmente nella sua città natale, dal grande spirito critico e dalle molte aspettative.82 Per un artista al massimo della capacità creativa e tecnica, l’”enorme insulto” della sconfitta della facciata era profondamente ingiurioso, un precipitare delle aspettative internazionali, locali e familiari. Era una significativa diminuzione dell’ “onore”, che, secondo i contemporanei era “la cosa più importante nella vita di chiunque”83 Però l’offesa avrebbe potuto servire a motivare Michelangelo. Nel 1521, con del nuovo marmo, la cappella dei Medici gli dava l’opportunità di ricominciare, di dimostrare la sua abilità artistica e di riguadagnare onore “in casa”. Dopo un lungo periodo di inattività come potente incentivo, Michelangelo si lanciò nel nuovo incarico con una pubblica reputazione in palio e qualcosa da dimostrare. E come procedette?
Significativamente, cominciò, non con il monumento più importante della cappella – la tomba dei “Magnifici” – ma con le quattro figure allegoriche per le meno importanti tombe ducali.84 Queste offrivano ampio margine alla sua immaginazione e una opportunità per affermare immediatamente la sua abilità e originalità come scultore. Il fatto che Michelangelo abbia costruito modelli in creta a grandezza naturale indica esattamente quanto intendeva che queste figure fossero originali.85 Gli arti delle allegorie, pericolosamente distesi e senza sostegno. (specialmente quelli della Notte e dell’Alba (Foto 9–10) rivelano l’artista che consapevolmente dimostra la propria genialità e abilità di scultore. Queste fragili sporgenze sono sostenute da una minima quantità di marmo. In effetti Michelangelo ha eliminato quanto più possibile il materiale estraneo sfiorando pericolosamente il disastro. Ha quasi totalmente liberato il piede aggettante della Notte, praticando un foro attraverso il marmo grezzo sotto il calcagno destro e lasciando un bordo di materiale spesso meno di 2,50 cm intorno all’alluce. (Foto 11).86 Bucare un marmo già sottile era coraggioso ma poco necessario. Michelangelo ha fatto qualcosa di simile con la gamba destra distesa dell’Alba; facendo un foro attraverso il marmo ha liberato parzialmente il piede penzolante.
Ancora più audacemente, Michelangelo ha scavato il marmo intorno al piede dell’Alba per simulare un drappeggio, cosa che, naturalmente, richiedeva di maneggiare martello e scalpelli e levigare la pietra all’estremità più vulnerabile del blocco. Naturalmente noi siamo interessati a queste figure soprattutto per il loro ruolo nell’insieme complessivo; tuttavia dobbiamo riconoscere che le allegorie della tomba offrivano a Michelangelo un’immediata opportunità di dimostrare il suo virtuosismo e la sua abilità di scultore.
Gli arti distesi e i blocchi perforati sono imprese degne di nota nel campo della scultura, ma sono entrambi tecnicamente pericolosi e senza significato dal punto di vista iconografico. Perchè indulgere in una pratica che richiede tempo ed è potenzialmente pericolosa? Sembra che dopo la penuria degli anni precedenti, Michelangelo fosse deciso a mettere in mostra il proprio mestiere. Sapeva che una simile dimostrazione di bravura sarebbe stata apprezzata in una città con una lunga storia di grande maestria. Michelangelo era cresciuto in questa tradizione. Dal tempo del Bacco, quando il committente lo invitava a “mostrare quello che sapeva fare”,87 Michelangelo perseguiva una strategia professionale creando oggetti che mostravano stupefacente abilità e straordinarie “difficultà”88 La sua carriera è segnata da una serie di unica, pezzi unici, mai ripetuti e poco imitabili: il Bacco, la Pietà, il David, Mosè, il soffitto della cappella Sistina.89 Più di ogni artista prima di lui (benché Donatello e Leonardo stabiliscano precedenti importanti) Michelangelo, creando oggetti unici, esibì sia autorità che genio, stimolando quindi ulteriore domanda in un mondo, specialmente Firenze, che apprezzava l’originalità. In molti modi, le quattro allegorie scolpite erano una dimostrazione di “quello che poteva fare” – figure estremamente originali che erano una chiara dimostrazione di abilità e di eccezionale “difficultà”. Potrebbe aver detto – poiché non diceva di pittura, architettura, fusione del bronzo, o scrittura di lettere – che scolpire il marmo ”è mia arte”.
D’altra parte, queste figure da sole non erano sufficienti a completare l’insieme architettonico e sculturale né a soddisfare un committente impaziente che chiedeva a Michelangelo di disegnare la Biblioteca Laurenziana, un ciborio, una croce di cristallo, due tombe papali, una tribuna per reliquie, e un colosso per la piazza davanti a San Lorenzo. E, in più, Michelangelo era assediato da ulteriori richieste, alcune delle quali non poteva rifiutare.90 Per portare a termine tutto quello che gli veniva richiesto, Michelangelo era attivamente incoraggiato a collaborare, non tanto per ottenere i materiali quanto per portare avanti gli impegni più pressanti. Imparare a collaborare, diventando un efficiente progettista e uomo d’affari, e tornare a scolpire capolavori unici, erano tutti effetti positivi della commessa cancellata per la facciata.
In contrasto con i lavori di un singolo autore che hanno contribuito a determinare la sua reputazione, la cappella dei Medici fu invece un’impresa di reale collaborazione. Michelangelo fece buon uso di un gruppo di maestranze selezionate con cura, che furono impiegate come se fossero strumenti altamente raffinati – quasi fossero estensioni di lui stesso.91 Molto abili nella tradizione fiorentina della migliore scultura del marmo e della pietra, questi esperti artigiani furono capaci di tradurre il pensiero originale di Michelangelo dentro una forma materiale. Alcuni notevoli esempi indicano che, mentre seguivano i disegni di Michelangelo, agli artigiani era data la possibilità di esibire la loro bravura e così facendo contribuivano non solo a realizzare l’idea di Michelangelo ma anche a creare un lavoro stupefacente di grande originalità e “difficultà”. Per esempio, l’architettura del marmo assomiglia di più ad un complicato lavoro di ebanisteria, le edicole sopraporta sono esempi impressionanti di abile scultura (Foto 12). Sulle tombe, il marmo è talvolta lavorato a imitazione di altri materiali: bucrani e corde attorcigliate che entrano in fori di paterae dall’apparenza metallica (Foto 13).
Sui grossi blocchi che servono da base ai sarcofagi, lastre sottilissime sono lasciate in rilievo davanti e in alto (Foto 14). Cioè in pratica dei blocchi più grandi dovevano essere laboriosamente ridotti, squadrati, e uniformemente spianati e levigati per ottenere un risultato così sorprendente. Questo è un esempio di scultura che richiede tempo ma che è poco spettacolare, notata troppo poco dai visitatori moderni, ma che indubbiamente suscitava l’ammirazione dei contemporanei.92 Ognuna delle tombe ducali è costituita esattamente da cinque grandi blocchi: la base, due gambe, la cassa del sarcofago, e il coperchio del sarcofago. Le due gambe sono scolpite in modo che la cassa del sarcofago abbia un taglio trapezoidale accuratamente misurato. Rompendo la lunga tradizione del muro fiorentino e delle tombe ad arcosolio, tutto l’insieme si regge sotto il suo proprio peso, senza malta e senza il sostegno di una parete. I coperchi del sarcofago sono ancora più interessanti visto che sono blocchi monolitici e i più grandi che siano stati estratti per la cappella. Furono i blocchi più grossi da localizzare e da trasportare e giustamente richiesero molta attenzione da parte di Michelangelo.93 Gli insoliti blocchi ricurvi sono scolpiti con volute che si arrotolano intorno e sotto il bordo superiore della cassa del sarcofago (Foto 15). Le volute impediscono che i pesanti coperchi del sarcofago debbano essere abbassati con un argano, come ci si potrebbe aspettare. Al contrario, sono stati tagliati nella esatta misura e fatti scivolare orizzontalmente al loro posto. La portata di questa impresa si ritrova accanto, nella simile Cappella dei Principi. Invece di monoliti tagliati con precisione, i coperchi dei sarcofagi dei principi sono un assemblaggio di pezzi tagliati separatamente e messi insieme pochi per volta.
L’eccezionale maestria che traspariva in tutta la cappella era un linguaggio universalmente compreso e ammirato nella Firenze dell’epoca. In una città che apprezzava l’originalità e la straordinaria artigianalità, la cappella dei Medici offriva a Michelangelo uno spazio in cui mostrare la propria abilità, anche se spesso noi ammiriamo l’opera dei suoi assistenti scelti con cura e seguiti con attenzione. Pur scolpendo solo alcune figure, Michelangelo è riuscito a dimostrare pienamente le proprie capacità e, con l’aiuto degli assistenti, ha fatto sì che la cappella, benché assolutamente incompleta, sia considerata non solo un’opera d’arte soddisfacente ma uno dei massimi capolavori dell’artista.
Benché le quattro allegorie siano figure secondarie su tombe laterali meno importanti, da sole bastano ad attirare la nostra attenzione e ad assicurare la fama di Michelangelo come maestro scultore. Quindi davvero Michelangelo riuscì a cancellare l’umiliazione della facciata e dimostrò di possedere la statura del più grande artista fiorentino vivente.
L’anno 1520 fu quindi un momento di svolta. Dal punto più basso della carriera, Michelangelo si risollevò per affrontare una nuova sfida. Quattro figure relativamente minori fecero sì che la cappella dei Medici fosse vista come una creazione unica, anzi un altro unicum. Ma dopo avere ancora una volta dimostrato la sua superiorità nell’arte fiorentina della raffinata scultura del marmo, Michelangelo rivolse l’attenzione a forgiare la propria vita come gentiluomo e aristocratico. La scultura del marmo, che gli aveva ottenuto fama internazionale, sarebbe diventata un aspetto sempre meno significativo della sua carriera più tarda. Il resto della sua lunga vita – altri quarantaquattro anni – sarebbero stati consacrati a “crescere la famiglia” e ad a assicurare la propria eredità. Questo ultimo sforzo alla fine oscurò la delusione per il progetto non realizzato della facciata. E quanto a noi, tutta la vita e l’opera di Michelangelo ci incoraggia ad andare oltre un apparentemente sterile anno 1520, a ridurre l’importanza della facciata di San Lorenzo non realizzata, e ad accettare l’incompleta cappella dei Medici come un capolavoro d’arte.
Appendice 1
Cronologia degli eventi citati
1516
Ottobre Michelangelo riceve la commessa per la facciata di San Lorenzo
Luglio Nuovo contratto per la tomba di Giulio II
1518
14 luglio Primo acquisto della proprietà per il laboratorio di via Mozza
Novembre-dicembre Spese per migliorare il laboratorio e la proprietà di via Mozza
Dicembre Il blocco di marmo per il Cristo risorto arriva a Pisa
1519
Gennaio -marzo Spese relative al laboratorio di via Mozza
Giugno Sagrestia Nuova/Progetto cappella dei Medici
Novembre Sagrestia Nuova/Inizia la costruzione della cappella dei Medici
1520
Marzo Cancellazione della facciata di San Lorenzo;
Michelangelo fa il resoconto delle spese;
si lamenta per la sottrazione del marmo.
10 marzo Michelangelo è informato del furto del suo marmo a Roma.
12 marzo Il Cristo risorto è a Pisa, pronto per l’imbarco verso Roma.
23 marzo Donato Benti carica i blocchi di marmo a Pisa per la facciata di
San Lorenzo
31 marzo Michelangelo ha notizie da Roma sull’edicola per il Cristo risorto
Aprile Vari acquisti di tessuti e abiti
12 aprile Morte di Raffaello. Sebastiano chiede a Michelangelo di
raccomandarlo per decorare le Stanze Vaticane
22 aprile Michelangelo è stato malato e ora è guarito
24 aprile I committenti romani rispondono alla notizia che il Cristo risorto
(commissionato nel 1514) è finito ed è in viaggio per Roma.
Giugno Michelangelo scrive una lettera al Cardinale sullo stesso foglio dello schizzo
per il tamburo di Santa Maria del Fiore (Casa Buonarroti 66A)
1 giugno Michelangelo comincia a ricevere un regolare
stipendio per il lavoro nella cappella dei Medici
Giugno-luglio Acquista stoffe e vestiti
3 luglio Sebastiano informa Michelangelo che la sua lettera spiritosa
è molto piaciuta a tutti in Vaticano.
29 luglio A Seravezza, Michelangelo paga i cavatori per i marmi
della facciata di San Lorenzo
27 settembre Michelangelo viene informato della morte di Leonardo Grosso della Rovere
(Cardinale “Aginensis”), esecutore testamentario per la tomba di Giulio II,
al quale succede il meno simpatico Francesco Maria della Rovere
8 ottobre Lettera dal Conte Alessandro di Canossa che si rivolge
a Michelangelo come “Parente honorando”
21 ottobre Vittorio Ghiberti a Napoli scrive a Michelangelo chiedendogli del marmo.
26 ottobre Il Papa Leone X desidera la presenza di Michelangelo a Roma
9 novembre Michelangelo è informato della morte del Cardinal Bibbiena
23 novembre Michelangelo manda i primi disegni delle tombe della
cappella dei Medici al Cardinale de’ Medici a Roma.
1521
31 marzo Lettera da Pietro Urbano che riferisce del ritardo del Cristo risorto;
sul verso Michelangelo disegna lo schema per le figure
della cappella dei Medici (Foto 7).
Aprile La prima colonna per la facciata di San Lorenzo arriva a Firenze.
10 aprile Michelangelo a Carrara ordina il marmo per le tombe
della cappella dei Medici.
Maggio Michelangelo è pagato dall’Opera di San Lorenzo per il lavoro della
facciata di San Lorenzo
Note
1 “La facciata di San Lorenzo, che sia, d’architectura e di schultura, lo spechio di tucta Italia” (Barocchi e Ristori 1965–83, 1:277; d’ora in poi: Carteggio). Per una storia del progetto della facciata, vedere Millon e Smyth 1988; Wallace 1994a, spec. cap. 1; e Satzinger 2011.
2 “Basta che, quello che io ò promesso, lo farò a ogni modo, e farò la più bella opera che sia mai facta in Italia, se Dio me n’aiuta” (Carteggio 2:83).
3 “Una cosa la più bella che sia in Italia” (ibid. 2:136).
4 Ibid., 2:69.
5 “Hora solum vi dico Michiele Agnolo essere a Fiorenza a fare la fazia dela chiesia di San Lorenzo” (Shearman 2003, 1:449).
6 Carteggio 1:209, 213, 280.
7 Per questo, ved. Klapisch-Zuber 1969; Ciulich 1992, 169–178, e 1994, 88–99 e 100–105; Wallace 1994a, spec. cap. 1; Rapetti 2001; e Scigliano 2005.
8 Carteggio 2:218–221; tradotto in Ramsden 1963, 1:128–131.
9 Ciulich e Barocchi 1970, 97; una serie di conteggi relativi si trova in 97–103.
10 Wallace 1994a (spec. cap. 1), 1992a, 1992b; e Ciulich 1993.
11 Ciulich e Barocchi 1970, 99. Michelangelo prima annotò che la statua era a Signa (ibid., 96) e poi che era arrivata a Firenze. (ibid., 98, 99; ved. anche Wallace 1994a, 71).
12 Carteggio 2:224–225. Sull’acquisto di una nuova fune, ved. Archivio Salviati di Pisa 629, fol. 33, sinistra e destra (da ora in poi ASP).
13 Wallace 1992b, 30; 1994a, 71; e 1992a. Durante la primavera-estate 1521 si stava ancora attivamente scavando il marmo per la facciata e grosse quantità erano in viaggio dalle cave a Firenze. Per esempio, il 14 novembre 1520 i cavatori di Michelangelo a Carrara informarono Michelangelo che avevano estratto “due figure grande e due de le picole, secondo le mixure ne avete dato” e sono pronti a fornire all’artista gli altri marmi necessari (Carteggio 2:258). Siccome Michelangelo non aveva ancora ordinato marmo per la cappella dei Medici, questo era marmo chiaramente ordinato per la facciata e/o per il progetto della Tomba di Giulio.
14 Wallace 1994a, 71, e n. 483, con riferimento alle contemporanee Istorie fiorentine di Giovanni Cambi confermati in riferimenti d’archivio.
15 ASP 629, fol. 119 destra e ASP 629, fol. 151 sinistra; ved anche Wallace 1994a,71, e n. 484.
16 ASP 735, fol. 96r, e Wallace 1994a, 71–72, e 75–81, con ulteriori riferimenti. La facciata era ancora fattibile quando Michelangelo disegnò il balcone della tribuna delle reliquie per San Lorenzo.
17 Per il contratto, ved.Ciulich 2005, 54–55. Per la storia della commessa ved.De Tolnay 1948, 89–95, 177–180, Panofsky 1991.
18 Baldriga 2000 e Danesi Squarzina 2000.
19 “Io non gli ò mai risposto, né anche voglio più schrivere a voi finché io non ò chominciato a llavorare; perché io muoio di dolore, e parmi essere diventato uno ciurmadore chontro a mia voglia” (Carteggio 2:129).
20 Ibid. 3:9.
21 Ciulich e Barocchi 1970, 105.
22 “Dio si laudato, havisate la figora esser finita”e “non li pareva mai vedere quel dì che fussi finita, attento che è passato el tempo de tanti anni ultra lo tempo dello obligo” (Carteggio 2:229, 230).
23 Per il “progresso” dell’ interminabile commessa, ved. Wallace 1994b e 1997.
24 “Ora, in questo tempo avendo mandato gli Operai di Santa Maria del Fiore una certa quantità di scharpellini a Pietrasanta, o vero a Seravezza, a ochupare l’aviamento e ctormi e’ marmi che io ò facti cavare per la facciata di San Lorenzo” (Carteggio 2:219).
25 “El Chardinale m’à decto che io mostri e’ danari ricievuti e le spese facte, e che mi vole liberare per potere, e per l’Opera e per sé, torre que’ marmi che vole nel sopra dicto aviamento di Seraveza” (Carteggio 2:220; trad. Ramsden 1963, 1:130).
26 “Per fare el pavimento di Santa Maria del Fiore” (Carteggio 2:219). Giovanni Cambi scrive: “Addì 2 dottobre 1520 si cominciò el pavimento di marmo in S. Maria del Fiore di Firenze.” Questo e altri importanti documenti si trovano in Reiss 1993, 291 e 311 n. 286. Sul progetto del pavimento ved. Zangheri 1994.
27 Federigo Frizzi a Roma a Michelangelo in Firenze: “Io pasai questi dì da Marmorata, e guardai e’ mar[mi] vostri, e non ce ne vidi più che dua pezi” (Carteggio 2:222–223).
28 “et quasi tutti e’ marmi che io havevo in sulla piazza di Santo Pietro mi furno sacheggiati, et massimo i pezzi piccoli” (ibid., 4:155).
29 Ibid., 3:8. Le istanze sull’espropriazione dei marmi “di Michelangelo” sono moltissime; per esempio, ved. Wallace 1994a, 72–73. Il marmo preso per la tomba Armellini in Santa Maria in Trastevere era un caso particolarmente eclatante discusso in Parronchi 1975. In una lettera da Stefano di Tommaso a Michelangelo datata 7 gennaio 1533, il fidato assistente nota una potenziale vendita di marmo senza il permesso di Michelangelo: “trovai el Bug[i]ardino c[h]e
andava a trovare el Prete per mostrare e’ vostri marmi, per vendergli colla casa” (Carteggio 4:5). Baccio Bandinelli usò undici pezzi del marmo di Michelangelo, valutati 170 ducati, per l’Udienza nella Sala dei Cinquecento in Palazzo Vecchio (ved. Hatfield 2002, 81 n. 129, e altre vendite di marmo nel n.130). E nel 1560, Leone Leoni chiese a Michelangelo il permesso di ritirare il marmo lasciato nel laboratorio di Via Mozza (Carteggio 5:232–233). Mentre Leone chiedeva il permesso a Michelangelo, il Duca Cosimo permise a Bandinelli di saccheggiare quei marmi “”senza rispetto,” secondo Vasari (1966–87, 6:85–86). Bandinelli aveva adocchiato anche alcuni marmi della cappella dei Medici; ved. Waldman 2001, 229-230. In realtà i documenti indicano che Bandinelli si servì più volte dei marmi di Michelangelo. Ved.; Waldman 2004, doc. nn. 358, 359, 481.
30 Come Michelangelo a malincuore ammette quando nota che il marmo e il relativo equipaggiamento apparteneva “o a Sua Santità o a me”“e marmi e masseritie sarebono di necessità toche o a Sua Santità o a me” (Carteggio 2:220).
31 Ackerman 1961, 2:18–19. Per un dibattito sul contributo di Michelangelo a questo progetto, ved. Maurer 1999/2000.
32 Ved. De Tolnay 1975–80, n. 492 (d’ora in poi Corpus). Per la bozza della lettera, ved. Carteggio 2:232.
33 Casa Buonarroti n. 50A, Corpus, n. 491.
34 Per le due proprietà, ved. Wallace 1994a, 64–67, e Hatfield 2002, 75–84.
35 Ved. Echinger-Maurach 2009, 45–55.
36 Hatfield 2002, 75–78.
37 Casa Buonarroti 32A, Corpus, n. 331. La proprietà è identificabile sulla mappa di Bonsignori, all’estremità nord di via Mozza, vicino a Santa Caterina (ved. Wallace 1994a, mappa 5, pag. 65). Secondo le indicazioni di Michelangelo, il terreno trapezoidale misurava
4,268 metri quadrati (usando 58.36 cm come misura per il braccio).
38 Ved. Mori e Boffito 1926.
39 Corpus, n. 565. Il disegno fu erroneamente identificato da Charles de Tolnay come un progetto per una fortificazione, ciò che evidentemente non è. Si devono solo considerare le specifiche indicazioni topografiche, la data e il contesto del foglio, e la sua relazione con le altre prove disegnate e scritte delle proprietà di Michelangelo in via Mozza. Devo a Robert McDowell, professore emerito di matematica presso la Washington University, la stima della metratura basata sulle indicazioni di Michelangelo.
40 Probabilmente il suo assistente e attuale capo-progetto, Stefano di Tommaso Lunetti, per il quale ved. Wallace 1987b e 1994a, passim. La stessa mano si vede su un altro foglio, Corpus, n. 547 (Archivio Buonarroti 1, 151, fol. 269), che è stato tagliato ma che può delineare la parte inferiore della stessa proprietà lungo via delle Ruote. Per una diversa identificazione ved.Ruschi 2007, 167, e 2011, cat. VI.2.
41 Casa Buonarroti 32A, Corpus, n. 491.
42 A destra della griglia di duecento quadrati, sono state contrassegnate in modo simile altre cinquanta caselle e sotto ogni colonna c’è un doppio segno di spunta.
43 Casa Buonarroti n. 75A, Corpus, n. 465; delle trascrizioni di alcune notazioni si trovano in
Ciulich e Barocchi 1970, 71–73.
44 Alcuni numeri dei calcoli sul foglio sono confermati in una serie di ricordi correlati; ved.spec. Ciulich e Barocchi 1970, 69, e 70. Golo Maurer ha discusso questo e altri fogli collegati con speciale attenzione ai metodi di calcolo di Michelangelo; ved. Maurer 2004, spec. 45–46, 196–204.
45 Goldthwaite 1972; Franci e Rigatelli 1982; e Grendler 1989, cap. 11. L’abaco e le tavole di calcolo erano entrambi in uso verso la metà del sedicesimo secolo per il calcolo matematico, ved. Buskirk 2013.
46 Mario Carpo nota che Michelangelo era “quasi completamente ignorante in matematica e questo foglio offre la prova che anche la moltiplicazione a due cifre poteva spingere al limite le sue capacità aritmetiche.” (Carpo 2003, 469 n. 54; ved.anche Maurer 2004, 196–204).
47 Wallace 1995.
48 Ringrazio Jack Wasserman per questa osservazione.
49 Elam 1979. Ved. anche Parronchi 1968, 165–187.
50 Sul rapporto speciale fra Michelangelo e Clemente, ved. Reiss 2005 e Wallace 2005a.
51 ASP 739, fol. 35 sinistra e destra, e fol. 57 sinistra e destra, e ASP 735, fol. 96r. “A dì primo di giugno hominc[i]ò la provisione” (Ciulich e Barocchi 1970, 103–104). La costruzione della cappella ha comportato spese significative, tracciabili anche attraverso gli stessi registri bancari;
ved. Wallace 1992a e Ciulich 1993.
52 Carteggio 2:259, 260.
53 Ibid., 2:282.
54 Corpus, n. 477 verso. Leonard Barkan esplora in profondità le emozioni di Michelangelo, come rivelano i frammenti di parola e immagine che si intrecciano in questa e in situazioni simili; ved. Barkan 2011, spec. 191–192.
55 Ciulich e Barocchi 1970, 105–106. Ved. anche Elam 1979, 164–168.
56 A proposito dei libri sul sequestro dei marmi, ved. Wallace 1992b, 117–141, e 1994a, 41–43.
57 Ammetto una certa difficoltà con questa ipotesi, perché suggerisce che Michelangelo abbia portato questa lettera con sé alle cave, e che l’avesse ancora con sé mesi dopo quando i blocchi erano stati estratti oppure che abbia usato questa lettera per contare i blocchi quando sono arrivati a Firenze, ancora altri mesi dopo. In alternativa, le settanta caselle segnate non sono il conto dei blocchi di marmo ma di quante carrate di marmo avrebbe dovuto ordinare per ogni tomba, cioè sta stimando il peso totale del marmo. Michelangelo ha guardato una figura e ha segnato il numero di caselle corrispondenti al peso totale di ogni blocco: un blocco di otto carrate sarebbe rappresentato da otto caselle segnate da un punto. In questo caso, Michelangelo potrebbe aver anticipato che ognuno dei quattro blocchi allegorici (due ore del giorno e due divinità dei fiumi), sarebbero stati otto carrate ognuno, ciò che infatti era corretto; il Duca e le due figure laterali nelle nicchie sarebbero state sei carrate ognuna, e la cassa e il coperchio del sarcofago – i blocchi più grandi di tutti – sarebbero stati di dieci carrate ognuno. Totale per ogni singola tomba: settanta carrate. Poiché la dimensione e il peso determinavano il costo, Michelangelo probabilmente avrebbe fatto una stima del costo per il committente.
58 Carteggio 2:257, 261–262.
59 Ibid., 2:227.
60 Ibid., 2:232; traduzione di Gilbert e Linscott 1980, 230.
61 Carteggio 2:151.
62 Ramsden ha suggerito che Michelangelo avrebbe impiegato del tempo per rispondere alla richiesta di Sebastiano a causa della sua malattia nell’aprile 1520 (Ramsden 1963, 1:273).
La malattia può essere stata un fattore, ma non spiega a sufficienza i circa due mesi fra la richiesta di Sebastiano e la lettera di raccomandazione di Michelangelo.
63 Carteggio 2:233–235, 239–241, 242–243, 246–247.
64 Come riferito da Sebastiano in una lettera a Michelangelo, il 23 luglio 1520. “che quasi non c’è altro sugiecto che rasonar in Palazo, se non la vostra littera, et fa rider ogn’omo” (ibid.,
2:233). Sull’umorismo di Michelangelo ved.Barolsky 1978, spec. cap. 3, e Wallace 2010a, 172–176; 2005b; e 2006.
65 Carteggio 2:232; illustrato nel Corpus, n. 492.
66 Come riferito da Sebastiano in una lettera del 9 Novembre 1520 (Carteggio 2:256).
67 Ibid., 2:228.
68 Come notato in una lettera da Sebastiano datata 12 aprile 1520 (ibid., 2:227).
69 Per esempio, da Goffen 2002, 254–255.
70 Affermò di essere vecchio nel 1517, all’età di quarantadue anni, che era già un’età superiore alla generale aspettativa di vita dell’epoca (Carteggio 1:278).
71 Michelangelo fu informato della morte del cardinale il 27 Settembre 1520 (ibid., 2:244).
72 Ciulich e Barocchi 1970, 92–93; ved. Wallace 1994b, 341–348.
73 “Abbiàno pagato trecento anni le gravezze a Firenze” (Carteggio 3:89). Sullo status nobiliare di Michelangelo ved. Wallace 2000a e 2010b, spec. cap. 2.
74 Dante, Purgatorio 33; Castiglione 1976, 237.
75 Ciulich 2005, 169.
76 Carteggio 2:245, 250–253. Naturalmente, un interesse così vivo per i propri antenati era comune. I fiorentini mostravano grande amore per la genealogia, e le loro numerose memorie rimaste mostrano un senso della discendenza familiare molto sviluppato. E’ da notare che pochi artisti prima di Michelangelo portarono avanti queste rivendicazioni, e ancora meno ci credettero con una certa sicurezza. Sull’amore per la genealogia durante il Rinascimento, sia reale che immaginario, ved. ref. in Wallace 2000a, 70 n. 25, anche in Donati 1988 e Bizzochi 1991a, 1991b, e 1995.
77 “Metervi el cervello in combustione” (Carteggio 2:253).
78 “Michelagnolo di Lodovico Buonarroti Simoni fiorentino, di nobile e di antichissima casata” (L’Anonimo Magliabechiano 1968, 123).
79 Bull 1987, 7.
80 Vasari 1962, 1:23; Bull 1987, 24.
81 “Et varrebbe più l’onor[e] nella tua patria et a chasa” (Carteggio 1:8).
82 Il contrasto con un periodo precedente estremamente prolifico a Firenze, 1501–8, è significativo, per questo ved. Wallace 1992c.
83 Alberti 1969, 149. Per gli Italiani, “onore e utile” erano di fondamentale importanza e appaiono come una frequente preoccupazione di Michelangelo e della sua famiglia ( circa sette volte nella corrispondenza di Michelangelo). Per i termini in cui appaiono nelle lettere di Michelangelo, ved. Barocchi et al. 1994, s.v., e Parker 2010.
84 Per la storia, ved. De Tolnay 1948 e Wallace 1994a, cap. 2.
85 Ibid., 92. Sulle sfide affrontate da un intagliatore di marmo, anche se abile come Michelangelo, ved. Wallace 2000b e 2009.
86 Ved. Wallace 2011. Per delle buone illustrazioni del piede della Notte, ved. Rosenberg 2000, tavole 42a e 44a.
87 Carteggio 1:1.
88 Wallace 2010b. Come nota Michael Cole: “Quanto più scenograficamente lo scultore ha liberato un braccio o una parte dal blocco, tanto maggiore è lo spettacolo di virtuosismo ”(Cole 2011, 103).
89 L’idea di rendere “inimitabili” delle opere d’arte era ben compresa e messa in pratica da artisti successivi, come Benvenuto Cellini; ved. Tylus 2004.
90 Carteggio 3:170, 176, 184–185, 187; Wallace 1994a, 134, e 2005a.
91 Per questo, ved. Wallace 1994a, cap. 2.
92 Mentre questo particolare esempio è difficile da rintracciare nella storia di come è stato accolto, la generale fortuna critica della cappella è ben documentata, così come la prova che i contemporanei la consideravano unica; ved. Prater 1979; Rosenberg 2000, 2003, and 2006; e Elam 2005b.
93 Wallace 1994a, 115.
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