PER IL COMPLETAMENTO DELL’ALTARE Dl SAN LORENZO
DEL MAESTRO DEL BAMBINO VISPO
di Carlo Volpe
Mitteilungen Institutes in Florenz, Vol. 17, n. 2/3, 1973
Trascrizione a cura di Andreina Mancini e Paolo Pianigiani
Giusto dieci anni or sono Robert Oertel 1, con la competenza e l’acume che tutti gli riconoscono, interveniva nel problema della ricostruzione di quel polittico del Maestro del Bambino Vispo che fu probabilmente l’opera di maggiore impegno del mirabile maestro fiorentino (o ispano-fiorentino): la pala dell’altare della Cappella di San Lorenzo, del Duomo di Firenze, che si ritiene eseguita su commissione dei Corsini, dopo il 3 marzo 1422, ed entro diciotto mesi a partire da quella data.
Il complesso, a tutti noto, è stato oggetto dell’attenzione di molti studiosi, dal Colasanti al Pudelko, al Longhi, al Berenson 2, dopo che il Sirén, nel 1904, pubblicando il comparto laterale ora a Berlino Est, aveva suggerito per primo un collegamento col documento del 1422 reso noto a suo tempo dal Milanesi 3 . Ivi è un espresso riferimento alla Cappella di San Lorenzo del Duomo fiorentino per la quale gli eredi del Cardinale Pietro Corsini si accordano con i consoli dell’Arte della Lana al fine del suo compimento e dell’esecuzione di una pala dal Frate degli Angeli o da altro pittore sufficiente o migliore. 4 Poiché nella tavola di Berlino compare nel luogo più eminente, e presentando il donatore, proprio San Lorenzo; poiché il donatore è in vesti cardinalizie; e poiché, come sembra inutile sottolineare, l’autore del dipinto può ben considerarsi un degno emulo dell’arte di Lorenzo Monaco, tale da soddisfare la clausola contenuta nel contratto, il Sirén non ebbe forse torto a istituire la relazione, non altrimenti fondata, fra quel frammento del polittico del Maestro del Bambino Vispo, che in seguito ha preso consistenza integrandosi in quasi tutte le sue parti, e il documento suddetto, acquisendo con Ciò anche un preciso appiglio per la cronologia di questo Maestro, del resto tanto incerta e problematica.
Occorre poi sottolineare subito, a proposito della attendibilità della identificazione del polittico con quello fiorentino del 1422-23, che la presenza del San Zanobi nello scomparto di destra, oggi a Stoccolma, come osservò il Pudelko e come sembra osservare anche lo Oertel, per giunta in posizione preminente accanto ad un Santo pur veneratissimo come S. Benedetto, indicherebbe la più probabile provenienza fiorentina, se non Io stesso Duomo di Firenze di cui S. Zanobi era uno dei patroni e dove trovò sepoltura. Ma vero è che sussistono ragionevoli dubbi sulla identificazione di quella figura di vescovo con S. Zanobi per l’incertezza dei riscontri iconografici sia nella predella con il “Miracolo della guarigione di un ossesso” (fig. 2), ora dalla collezione Visconti Venosta passata al Museo Poldi Pezzoli (che il Pudelko riportò al polittico
1. Robert Oertel, Der Laurentius-Altar aus dem Florentiner Dom. Zu einem Werk des Maestro del Bambino Vispo, in: Studien zur toskanischen Kunst (Festschrift Ludwig H. Heydenreich), München 1964 pp. 205-220.
2. Arduino Colasanti, Quadri fiorentini inediti, in: Boll. d’Arte, 27, 1933/34, pp. 337-350 ; Georg Pudelko The Maestro del Bambino Vispo, in: Art in America, 26, 1938, pp. 47-63 ; Roberto Longhi, Fatti di Masolino e di Masaccio, in: Critica d’Arte, 4 5, 1939 40, pp. 145-191 (pp. 183-185, n. 20); Bernard Berenson, Un nuovo Lorenzo Monaco, in: Riv. d’Arte, 6, 1909, pp. 3-6; Berenson, Pictures, Flor. pp. 139-141, tavv. 476-479.
3. Osvald Sirén, Di alcuni pittori fiorentini che subirono l’influenza di Lorenzo Monaco: Il Maestro del Bambino Vispo, in: L’Arte, 7, 1904, pp. 349-352.
4. Vasari-Milanesi, II, p. 25, nota 2.
insieme all’altro segmento centrale del Museo di Douai 5 con la “Adorazione dei Magi”, fig. 1), che nella tavola di Stoccolma con la figura intera.
D’altra parte occorre dire che se la presenza certa di S. Zanobi darebbe forza alla suggestiva ipotesi della provenienza del polittico dal Duomo di Firenze, è pur vero che la possibile identificazione con un altro Santo non è di per sé negatrice di quella ipotesi. Pertanto, sebbene il problema resti aperto su più incerte basi e prospettive e si indebolisca una delle premesse per l’ancoraggio cronologico di questo importante momento del Maestro del Bambino Vispo, gli argomenti che si deducevano dal collegamento proposto dal Sirén per la discussione critica sotto il profilo stilistico sono pur sempre verosimili e probabili, né possono mutare, a nostro avviso, le conclusioni essenziali che già si sono tratte per la sistemazione cronologica di tutta l’opera del maestro.
Intanto la conoscenza e lo studio di altre opere, soprattutto se provenienti da quello stesso polittico, riuscirà utile anche a quest’ultimo fine. Si sorprenderà qualcuno, forse, di apprendere che altre parti del celebre polittico possono essere ancora riunite ad un complesso che poteva sembrare ricostruito per intero, come sembra ritenere anche lo Oertel. 6
In verità la ricomposizione della predella dovrebbe apparire subito insufficiente sia per quanto riguarda le misure, sia per quanto riguarda le consuetudini o le norme iconografiche.
Come è noto, nella ultima e più arricchita ricostruzione ideale fornita dallo Oertel, il polittico appare composto dalle due note tavole laterali dei musei di Berlino Est e di Stoccolma, che fiancheggiano il centro diviso sciaguratamente in frammenti (Galleria di Dresda, collezione di Lord Carmichael e NIuseo Boymans-van Beuningen di Rotterdam). Tutte nell’Istituto Städel di Francoforte sono le tre cuspidi con il “Redentore benedicente” e la “Annunciazione” secondo la recente e persuasiva proposta dello Oertel.
E fin qui, infatti, tutto convince. Ma nella predella di una tanto maestosa pala d’altare, che invita alla venerazione di quattro Santi (Maria Maddalena, Lorenzo, Zanobi e Benedetto) e al culto della Vergine, figurerebbero soltanto, dopo le integrazioni del Colasanti e del Pudelko, tre soli pannelli: il , “Martirio di San Lorenzo” a sinistra, della collezione Colonna di Roma, la “Adorazione dei Magi” (fig. 1) al centro, del Museo di Douai, e a destra il “Miracolo della guarigione dell’ossesso” (fig. 2) del Museo Poldi Pezzoli (già Visconti Venosta), dove compare lo stesso santo vescovo della tavola di Stoccolma.
Ma le tavole mediane sviluppavano una larghezza complessiva di oltre 214 cm. (il frammento di Rotterdam sembra infatti tagliato anche sui fianchi), mentre le tre tavolette indicate della predella sviluppano insieme 157 cm. soltanto, accusando perciò una differenza di almeno 57 cm. che non può spiegarsi che con la mancanza di altri comparti. La congettura diviene certezza se poi si rammenta che a ciascuno dei Santi raffigurati a tutta figura nelle tavole mediane di un polittico (quando non siano raggruppati in gran copia su più file), massime nella più classica formula delle due coppie per parte come è in questo caso, sempre corrisponde una storietta nella predella, senza che alcuno ne sia escluso. Ora, lo spazio ancora disponibile nella predella per le storiette mancanti, che come si è visto è di oltre 57 cm. , lascia prevedere che apparissero accanto e all’esterno delle tavolette già note due altre di minore ampiezza, ossia dell’altezza di 28 cm. e della larghezza di poco meno di 30 cm. ciascuna, raffiguranti rispettivamente una scena della vita della Maddalena e di S. Benedetto. Questi due dipinti
5. Per l’esame degli insufficienti appoggi agiografici e per le osservazioni sulla veste e l’aspetto del Santo, sia nella predella che nella tavola mediana, non correspondenti con l’iconografia altrimenti nota di S. Zanobi, si veda quanto già osserva lo Oertel (op. cit., p. 208, nota 17). Soltanto il motivo del pannicello annodato all’asta del pastorale ritorna in altre immagini di S. Zanobi, ma non è peculiarità che si possa considerare risolutiva, perché compare non di rado nelle immagini, soprattutto quattrocentesche, di molti altri Santi Vescovi in Toscana (S. Biagio, S. Cipriano, S. Donato d’Arezzo, S. Frediano, S. Nicola da Bari; tutti Santi, si badi, dei primi secoli).
6. Op. Cit., p. 206. L’autore , per la verità, si compiace del recupero del polittico “in seinen wesentlichen Bestandteilen”, ma non fa cenno alla insufficienza della ricomposizione della predella.
esistono, nella più conveniente scelta iconografica, appropriate nella misura e per peculiarità di materia, e infine non ultimo buon requisito della medesima pronuncia stilistica.
Nel primo dei grandi repertori iconografici del Kaftal, quello dedicato alla Toscana, era già avvistabile una “Storia di San Benedetto”, di cui peraltro non venivano fornite le misure 7, con la raffigurazione di uno dei suoi miracoli più celebrati: di quando il Santo resuscita il monacello che è rimasto schiacciato dal muro del monastero abbattuto dai diavoli. Era già ben visibile tuttavia in quella piccola riproduzione il tipo del nimbo del Santo, tracciato a raggiera col bulino a mano libera, chiuso da un cerchio di minuti e fitti puntolini; lo stesso nimbo che compare nelle predelle Colonna, Visconti Venosta e di Douai. La tavola era detta appartenente alla collezione Hausammann di Zurigo ed era data a Bicci di Lorenzo, col suggerimento, inoltre, di considerarla compagna di una tavoletta con una scena della Vita di S. Giovanni Gualberto, di collezione privata milanese. 8
L’errore era già evidente e per il diverso accento stilistico, e per l’impari qualità, nonché per la difformità di connotazioni meno interne come la decorazione dei nimbi. Nel secondo caso il nome di Bicci di Lorenzo era quello giusto; mentre nel primo caso il livello dell’arte sembrava ben al di sopra di quello del fortunato pittore fiorentino, e conduceva nelle vicinanze dello stesso Lorenzo Monaco.
Non restava che attendere di poter conoscere direttamente il dipinto (fig. 3), che, giunto fortunatamente in una collezione fiorentina e liberato dalle sciocche ridipinture, mi appariva per evidenza da collocare fra le cose del Maestro del Bambino Vispo; mentre le misure, oltre alla identità degli ornati, autorizzavano finalmente il collegamento con i frammenti già noti della predella del polittico ritenuto del 1422. Il solo motivo di perplessità che si opponeva all’integrazione della tavoletta nella ben nota predella era la differenza di larghezza riservata a questa “Storia di San Benedetto” (e così avrebbe dovuto essere, specularmente, per la “Storia della Maddalena” ancora mancante) rispetto alle due tavolette dedicate a S. Lorenzo e al supposto S. Zanobi; vale a dire cm. 30 circa contro i 50 delle altre due; sebbene una tale singolarità sia facilmente ammissibile, né suoni sgrammaticatura nei confronti dei canoni architettonici e di gusto, fondati essenzialmente sul principio di simmetria, che reggono le partiture dei polittici trecenteschi e quattrocenteschi. In ogni caso, se si fosse trovata una tavoletta dello stesso formato con una Storia della Maddalena sarebbero caduti anche gli ultimi dubbi.
Dopo aver indagato fra il materiale meno noto spettante al maestro, si è visto che non può legare con quella serie neppure la bella tavola apparsa recentemente in una vendita parigina, con la “Comunione della Maddalena” (fig. 6) 10 che peraltro trova il suo antico posto accanto alla notissima “Decollazione di una Santa” della National Gallery di Londra e alla “Dormitio Virginis” dell’Art Institute di Chicago.
7. Kaftal, Saints, I, col. 158, fig. 165.
8. Ibid., col. 577 78, fig. 665.
9. La tavola misura cm. 27,2 x 29.
10. Il dipinto è comparso in un’asta al Palais Galliera il 15 marzo 1973, con l’attribuzione a scuola senese del XIV secolo. Misura cm. 42 x 65, esattamente quanto l’altro frammento di predella della National Gallery di Londra (no. 3926), e poco meno della “Dormitio Virginis” dell’Art Institute di Chicago (no. 33.1017) che, come parte centrale, è un poco più estesa: cm. 44, 7 x 68.
Prematuro mi sembra tentare di congetturare a quale polittico potevano appartenere i tre frammenti di predella, poiché, contro il solo collegamento per ora possibile, e precisamente con l’altro grande polittico noto del Maestro del Bambino Vispo che è conservato nel Martin von Wagner-Museum di Würzburg, si oppongono il calcolo delle misure e la non sufficiente chiarezza del referto iconografico. Il polittico di Würzburg, che ha al centro una Madonna in trono cui corrisponderebbe bene una , , Dormitio”, presenta, oltre a S. Andrea e a S. Pietro, S. Margherita e la Maddalena. Nulla si opporrebbe a collegare perciò la predella parigina con questa Maddalena, ma la , , Decollazione di una Santa”, di Londra, che è stata supposta da taluno S. Caterina, ma senza alcun fondamento sufficiente, non può neppure riconoscersi con certezze per il martirio di S. Margherita, mancando dell’episodio d’obbligo della morte del carnefice. Vero è tuttavia che la Santa della tavola di Londra reca fra i capelli un ornamento che molto somiglia alla ghirlanda di fiori della S. Margherità di Würzburg. Né respingerebbe questo collegamento il tratto stilistico, in entrambi i dipinti (né si dimentichino le altre due parti della predella, massime quella di Chicago) svolto con pari propensione verso il gotico iberico: un tratto che differenzia bene tutto questo gruppo dall’aspetto stilistico assa più composto in senso fiorentino del polittico supposto del 1422. Il polittico di Würzburg dovrebbe pertanto situarsi, a mio avviso, più addietro del polittico di S. Lorenzo, prima del 1420. Impossibile peraltro sarebbe spiegare la composizione della predella sotto il profilo delle misure, giacché l’intera estensione della pala di Würzburg misura cm. 236, mentre queste tre parti soltanto della predella (Parigi, Chicago, Londra), cui occorrerebbe aggiungerne altre due, misurano da sole, complessivamente, cm. 198; troppo per lo spazio disponibile. Inoltre vorrei osservare che, mentre la posizione dello scomparto di predella corrispondente a S. Margherita sarebbe sull’estremità sinistra, la composizione della tavoletta di Londra suggerisce una collocazione a destra, palesamente indicata dalla direzione delle linee della pur immaginosa prospettiva.
Il caso voleva invece che negli stessi giorni Michel mi indicasse quest’altro pannello (fig. 4), ancora con una “Comunione della Maddalena”, conservato nel Musée des Hospices di Lione, 11 che lo studioso francese aveva già acutamente connesso con il frammento con il “Miracolo di San Benedetto”, e sotto la vera paternità del Maestro del Bambino Vispo. Identiche le misure, difforme è soltanto la decorazione dei nimbi, cui manca la raggiera a bulino libero delle altre tavole della serie , mentre concordano in pieno i pensieri formali, che trovano riscontro anche in altre parti del polittico: nell’Angelo dell’Annunciazione di Francoforte, ad esempio, che è quasi la stessa immagine, rovesciata specularmente, che qui funge da Maddalena, sia pure con altra veste e attributi.
11. Il dipinto di Lione misuracm. 27 X 30. E’ senza dubbio quello che ha più sofferto, fra gli altri della serie, per manomissioni e ridipinture, ora rimosse. Ma la pittura serba traccia di una diffusa usura. Voglio ancora ringraziare l’amico Michel Laclotte per questa preziosa indicazione, di cui mi giovo dietro le sue cortesi, generose sollecitazioni.
Ai fini della ricostruzione della predella la diversa tipologia del nimbo non va certamente sottovalutata, ma, a parte il precedente di altri analoghi errori o dimenticanze dei mettiloro, la concordanza iconografica e di formato getta il maggior peso, in ogni caso, sulla bilancia della probabilità. Né alle ragioni di questa maggiore probabilità mi sembra ragionevole rinunciare quando anche la risposta stilistica suona compiutamente affermativa.
Ecco forse completato anche nella predella il polittico di S. Lorenzo del più prezioso maestro dell’ultima grande cultura gotica fiorentina (fig. 5); tanto vivo e portante nella sua eleganza squisitamente internazionale per aver saputo innestare sul ceppo antico del gotico locale (se si esclude il ramo già rinverdito di Lorenzo Monaco) locuzioni e forme sintattiche sempre più complesse e vitali di gotico oltremontano; ma importandole dalla Spagna, allora animata da alti spiriti e percorsa da eventi culturali quasi quanto la Borgogna.
I molti interrogativi che si aprono a questo punto attenderanno per molto tempo ancora una risposta probante, anche perché gli studi hanno recato ultimamente proposte e congetture che, lungi dal porsi come nuovi provati elementi di conoscenza e di giudizio, accrescono problematicità e Incertezza. Ciò sia detto, intanto, per l’identificazione con Miguel Alcañiz, che si è inteso tentare dopo che il Saralegui aveva connesso il nome del maestro valenzano e il contratto per il retablo di San Michele a Jérica, del 1421, con i ben noti ‘volets’ lionesi, e dunque col “Gil Master” del Post. Chi più si è avvicinato a questa ipotesi sono stati il Gudiol e il Longhi 12, ma non credo che i motivi della proposta, che senza dubbio può sembrare a prima vista plausibile, potranno rafforzarsi e accrescendosi trovare conferma.13 Al contrario, anche a prescindere dal sottile ma avvertibile divario fra la lega di stile germano-iberica del “Gil Master”, ovvero di Miguel Alcañiz, e le opere del gruppo Maestro del Bambino Vispo, non sempre così ‘internazionale’, se non addirittura di “timbro saracino” (secondo la brillante battuta del Longhi), non si intende come avrebbe potuto, il Maestro del Bambino Vispo, essere ancora tanto valenziano nell’altare di San Michele, nel “1421-22, e subito dopo, a Firenze, di spirito quasi neogiottesco, comportandosi nei quattro grandi Santi quasi più da amico di Spinello che di Lorenzo Monaco.
12. José Gudiol Ricart, Pintura gòtica ( = Ars Hispaniae, IX), Madrid 1955, pp. 149-150 (p. 409 e sg. la bibliografia di Leandro de Saralegui); R. Longhi, Un’aggiunta al Maestro del Bambino Vispo (Miguel Alcañiz ? ) , in: Paragone, 16, 1965, no. 185, pp. 38-40. È giusto soggiungere, a rettifica di quanto è detto nello scritto citato del Longhi, che il Laclotte, nel Catalogo dei “Trésors de la peinture espagnole” Parigi 1963, p. 33, fa cenno alla proposta del Gudiol, ma senza dichiarare di condividerla.
13. Una chiara posizione contro la identificazione Alcañiz — Maestro del Bambino Vispo è stata assunta da Alvar Gonzalez-Palacios (Posizione di Angelo Puccinelli, in: Antichità viva, 10, 1971, no. 3, p. 9, nota 8), che metteva giustamente in rilievo come l’Alcañiz sia pittore documentatissimo a Valencia negli stessi anni in cui il Maestro del Bambino Vispo è attivo a Firenze”. Al Gonzalez si deve anche la esclusione dal catalogo del maestro del ben noto “Giudizio Universale” di Monaco, che infatti sembra in tutto convenire all’Alcañiz. Cade di conseguenza il punto di riferimento cronologico quasi certo del 1415 indicato dal Pudelko, che era il solo, oltre a quello qui discusso e ancora incerto del 1422, a reggere la cronologia del Maestro del Bambino Vispo.
Né le sue intenzioni di fiorentinizzarsi possono dirsi soltanto tardive, giacché la mirabile “Madonna” di collezione privata che pubblicò il Longhi14, è ancora fra le sue opere più floreali e di gotico poliglotta, come altre che si possono datare nel secondo decennio del secolo, sebbene rielabori un pensiero di Giotto, già imitato dai contemporanei del grande caposcuola, e che interessò anche Giovanni Toscani, tanto che questi ne trasse una versione quasi in termini di copia stilisticamente simulatrice. 15 Sembra pertanto assai arduo ammettere un alternarsi di interessi mal conciliabili in un pittore che, se gli accreditassimo il gruppo “Gil Master” sarebbe ancora tutt’affatto calato nell’icastico esoterismo grafico della cultura genuinamente valenzana dopo il 1420 ; mentre apparirà quanto meno probabile una evoluzione graduale nel percorso dell’autore che chiamiamo “del Bambino Vispo” attraverso una schieratura di opere che, dalle più gotiche e alla Starnina, proceda verso una conclusione tanto più italiana, come ormai appare nel polittico di S. Lorenzo, sia esso o meno da collegare con il documento del 1422 ; o comunque nella “Madonna” già Rothermere, che il Maestro di Borgo alla Collina copia nel 1423.
Se non siamo andati errati la scheda che conferisce la miglior verosimiglianza storica alla vicenda di questo maestro lo supporrà, incerte le origini e i natali, nella Spagna già visitata dallo Starnina e orientata in uno svolgimento a senso unico che muove dal polittico di Bonifacio Ferrer per concludersi appunto con l’Alcañiz. E un suo aspetto fra i più antichi è forse quello che consente il sagace accostamento già posto dal Bellosi, e davvero sconcertante per simiglianze interne, fra uno dei frammenti degli affreschi dello Starnina nella Cappella di S. Gerolamo al Carmine, terminati già alla data precocissima del 1404, e il polittico di Würzburg 16. Ma nel seguito di questa vicenda, mentre l’Alcañiz, come si è detto, persevererà e si mostrerà più che mai felicemente involuto nel suo goticismo favoloso, il Maestro del Bambino Vispo avvisterà sempre più dappresso valori fiorentini; e quasi viene voglia di vederlo, fuor di metafora, prender terra finalmente in un clima, quello fiorentino, nel quale altri iberici (se egli davvero fu tale) seppero adattarsi mentalmente con pari prontezza e genialità. Ciò avvenne, in ogni caso, qualche tempo innanzi il 1423.
16 Luciano Bellosi, La Mostra di affreschi staccati, al Forte Belvedere, in: Paragone, 17, 1966, no. 201, pp. 73-79 (p. 76 e tavv. 63, 64). Inutile dire che proprio quell’accostamento provoca perplessità e interrogativi che richiederanno ulteriori riflessioni, coinvolgendo il problema dello Starnina; la attendibilità della sua data di morte (ante 1413) per chi volesse accreditare a questo autore anche le opere del Maestro del Bambino Vispo; o per contro la certezza del riferimento allo Starnina dei noti frammenti degli affreschi del Carmine, quasi incredibili ad una data anteriore al 1404.
Opere del suo catalogo riferibili al terzo decennio del resto non mancano; ma gioverà sicuramente conoscerne altre per un sempre più articolato discorso.
Ad esempio questo “Miracolo di un Santo monaco” (S. Giovanni Gualberto ?) (fig. 7) 17 potrà confermare la sempre freschissima vena dell’artista impegnato in un racconto di tono prettamente fiorentino, come in un Rossello di Jacopo assai più alto, o in un Toscani, dove i ricordi iberici nella donna salvata dalle acque e nei due fanciulli dialogano col fiorentinismo della figura neogiottesca del Santo e del bellissimo palazzetto ad archi romanici (o brunelleschiani ?). Non meno utile sarà conoscere questa anconetta con la “Madonna dell’umiltà fra sei Santi e quattro Angeli”, vista recentemente sul mercato artistico londinese con la corretta ascrizione al nostro anonimo (fig. 8). 18
17. La tavoletta, già riferita rettamente al maestro (e mi spiace non poter indicare il nome dello studioso cui spetta l’attribuzione), misura cm. 39,5 x 36.
18. La tavola, che incorpora la cornice, misura cm. 130 x 68. Anche in questo caso ignoro a chi spetti la attribuzione.
La composizione dei personaggi sacri allineati e compunti intorno alla Vergine secondo la più classica norma fiorentina, anche se inerpicata su spazi irreali, parlano ormai di un gotico riformato alla Ghiberti, se non alla Masolino, e sarebbe piaciuta a un Maestro del 1419. Tuttavia neppure quel mirabile maestro di confine fra antico e nuovo avrebbe saputo seguire tanto addentro i nuovi dettati, come qui sa fare il Maestro del Bambino Vispo, giacché par di ravvisare, almeno nei due bellissimi angeli musicanti (fig. 9)
una concordanza ad alto livello col più geniale fra i giovani pittori fiorentini capaci di svezzarsi presto, e senza danni, del latte del Ghiberti, di Lorenzo Monaco e di Masolino, per bere il vino di Masaccio: intendo nessun’altri che l’ Angelico, di cui il nostro autore doveva ben conoscere, giovandosene per le sue ultime meditazioni e ricerche, dipinti precoci quali le anconette di Leningrado e di Rotterdam, o la stessa pala di Fiesole, per la cui data mi sembra convenire, sempre più chiaramente, la metà del terzo decennio del Quattrocenco, certamente ben prima del 1429 che è il terminus ante quem del trittico di S. Pietro Martire, ora nel Museo di San Marco.
La stessa confluenza di motivi tratti dalle più mature espressioni del gotico fiorentino, che scavalcano Lorenzo Monaco pur senza divenire voci moderne, come in un Toscani o, più ancora, in un Maestro della Madonna Straus, ma animata da una propensione per il colloquio, se non per l’azione, che ormai riflette il realismo delle trame mimiche, e se vogliamo psicologiche, inimmaginabili prima di Donatello e di Masaccio, doveva essere nell’altarolo di cui serbano ricordo le incisioni ben note ricavate dalle due tavole frammentate della collezione ottocentesca di Artaud de Montor (fig. 10) 19, acquistate certamente in Italia da quel precoce raccoglitore di “primitivi” italiani.
Ora una di queste ho potuto riconoscerla nella tavoletta, assai consunta dopo la asportazione delle ridipinture che forse già la offuscavano quando, con la gemella, fu incisa per l’album del celebre collezionista, che si conserva in una collezione privata parigina (fig. 11);
squisita reliquia di un operetta di destinazione verosimilmente privata, visto il suo medio, se non piccolo formato 20, e ornatissima negli ori; non tanto però da non rispecchiare un tipo di quadratura, nel disegno degli ornati stessi, da convenire pienamente all’Angelico o a Masolino.
19. Alexis François Artaud de Montor, Peintres primitifs. Collection de tableaux rapportée d’Italie, Parigi 1843, nn. 68 e 69, tav. 25, con l’attribuzione a Buffalmacco. La misura indicata è cm. 26,2 x 10.
20. La tavoletta, dove, come nelle incisioni ottocentesche, le figure sono tagliate a mezza altezza, misura cm. 26 x 30 (la misura della base, indicata in 10 centimetri dall’Artaud, è certamente errata, e da intendere ora come un refuso in luogo di cm. 30), e si conserva nella coll. Lebel di Parigi. Ringrazio vivamente il proprietario per la concessione della fotografia e per il consenso alla sua pubblicazione.
Provenienza delle fotografie:
Bulloz, Parigi : fig. 1. — Museo Poldi Pezzoli, Milano : fig. 2. — Cliché des Musées Nationaux : fig. 4. — Ader Picard Taian, Parigi : fig. 6. — Mario Perotti, Milano: figg. 8, 9.
Ignota (dall’autore): figg. 3, 7, 11.
Da Berenson, Pictures, Flor. , 1, fig. 479 : fig. 5 b. — Da Artaud de Montor (vedi nota 19), tav.. 25 : fig. 10.