SULLA MADONNA DI BRUGES DI MICHELANGELO
di VALERIO MARIANI
da Bollettino d’Arte, 1954, fasc. I, (Gennaio – Marzo)
Rivedere e ristudiare la ‘Madonna di Bruges’ di Michelangelo, non più incorniciata dall’altare che l’accoglie nella chiesa di Nôtre Dame a Bruges, ma nell’austero isolamento d’uno dei saloni di Palazzo Barberini dove era possibile considerarla da ogni punto di vista e nelle luci migliori, è certo stata una di quelle esperienze che si fermano nell’animo, pronto ad intendere l’arte, con più certa efficacia (fig. 1 ).
E seppure è vero che da questa esperienza è risultata la conferma che l’artista ha concepito il suo gruppo in un rigoroso schema frontale, tanto che nello stesso basamento (come nel panneggio) la parte tecnicamente “finita” si arresta giusto a metà del blocco, proprio lì dove la nicchia riassorbiva, nell’ombra, l’effetto scultoreo (fig. 2), ciò non toglie che nella cosiddetta “veduta unica,, possa riconoscersi la conclusione di un complesso lavorio della fantasia che, in atto di proiettare frontalmente i maggiori effetti della plastica, tuttavia li propone come risultato ultimo d’un intenso svincolarsi dell’immagine dal blocco, nella sua pienezza e, quindi, anche le altre vedute possano dirci qualcosa sugli intendimenti dell’artista.
I quali intendimenti sorgono in un tempo così sintomatico nell’arte michelangiolesca, da farci considerare questa opera come un punto di arrivo assai importante nello sviluppo dei problemi giovanili del Buonarroti: egli stesso dovette averne consapevolezza quando, scrivendo al padre, da Roma, il 31 gennaio 1506, gli diceva, tra l’altro: “ …e ancora prego voi che voi duriate un poco di fatica in queste dua cose, ciò è in fare riporre quella cassa al coperto e in luogo sicuro: l’altra è quella Nostra Donna, di marmo, similemente vorrei che la facessi portare costì in casa e non la lasciassi vedere a persona ,,.
Ma l’avvertimento, che portò a far custodire il marmo per gli altri sette mesi o poco più che stette a Firenze prima di partire alla volta di Bruges, doveva essere giunto tardivo, se la novità della composizione di questo gruppo, cosi diverso dalla più recente tradizione toscana del Quattrocento fece impressione su pittori e scultori contemporanei, lasciando traccia in varie opere del primo Cinquecento.
Anzi, si può ragionevolmente pensare che il Buonarroti scrivesse al padre per far portare il gruppo “costì in casa”, proprio perchè doveva già essersi accorto che l’opera sua veniva osservata e studiata con particolare attenzione: non, dunque, una disposizione “protettiva”, ma il risultato d’un certo fastidio per l’eccessiva curiosità suscitata dalla bellissima e originale composizione. È stata giustamente richiamata a questo proposito l’evidente derivazione di alcuni motivi della ‘Madonna di Bruges’ nelle opere fiorentine di Raffaello.1
Più strano può sembrare l’equivoco in cui cadde il Condivi (e sulle sue tracce anche studiosi posteriori), scambiando la ‘Madonna di Bruges’ per un’opera in bronzo come si legge nella Vita di Michelangelo che la nomina precisando anche il prezzo di cento ducati pagati all’artista dalla famiglia Mouscron “famiglia nobilissima in casa sua”.
Michelangelo, infatti, guidò direttamente il Condivi nella stesura della biografia che in molte parti appare scritta dietro precisi suggerimenti dell’artista e riflette talvolta da vicino il pensiero del Buonarroti anche sul1’opinione che egli aveva delle proprie opere. Non così, dunque, per la ‘Madonna di Bruges’ della quale Giovanni Balducci scriveva all’artista in Firenze il 4 agosto l506, circa il modo migliore per spedirla in Fiandra, attraverso Francesco del Pugliese, che se ne sarebbe occupato mandandola a Viareggio e da Viareggio a Bruges.2
Il Balducci indicava con precisione, nella lettera, anche i destinatari, come uomo che aveva pratica di tali faccende per ragioni di scambi commerciali. “E quando con lui siate d’accordo”, egli scrive infatti a Michelangelo “l’addirizzate in Fiadra, cioè a Bruggia, a rede di Giovanni e Alessandro Moscheroni e compagni, come cosa loro”.
Ma se queste ed altre circostanze relative alla spedizione dell’opera all’estero sono state studiate da tempo, ciò che più interessa è il periodo nel quale la scultura deve essere stata eseguita. Si tratta di quegli anni fervidissimi che Michelangelo trascorse a Firenze tra il 1501 e il 1505, prima di tornare a Roma chiamato da Giulio II e dopo aver collocato la celebre ‘Pietà’ di San Pietro in Santa Petronilla, presso l’antica basilica. Il primo anno del suo soggiorno fiorentino conviene, più strettamente, alla qualità di questa scultura che si pone tra la ‘Pietà’ di San Pietro e il ‘David’ accanto alle statue per l’altare Piccolomini, del Duomo di Siena, tra le quali il San Paolo, come ben vide il Kriegbaum, presenta notevoli affinità di ideazione e di tecnica con la tanto maggiore scultura di Bruges.3
Erta su di un sasso a scheggioni, nascosto in gran parte dall’ampio rigirarsi delle vesti scolpite ancora con l’amore di chi vuol carpire al vero l’intimo fascino d’una cadenza naturale ed eterna, concepita già nel blocco in un addensarsi di volumi plastici che ne vivificano l’apparente staticità, la dolce e severa ‘Madonna’ è tuttavia sgorgata da quell’amoroso scandaglio interiore donde era scaturita la ‘Pietà’ di San Pietro: tanto più grandiosa, è vero, nella composizione distesa a riempire quanto più spazio fosse possibile, illudendo negli effetti d’altorilievo sulla reale profondità scultorea del marmo sottile. Qui, invece, l’artista pur raccogliendo sulla veduta frontale il massimo effetto, realizza l’intiera struttura architettonica del gruppo, facendovi collaborare tutto il blocco di marmo.
Il largo e sintetico abbozzo della parte posteriore (fig. 3) (ancora eseguito in maniera tagliente e fortemente incisa) ci dà ragione dell’ampio panneggio che fascia la Vergine, seduta sulla roccia e protesa verso i fedeli, mentre le due vedute laterali svelano il moto in avanti dei gesti, accompagnati dalle pieghe, quasi offrendosi alla luce che piove dall’alto, oltre i limiti ideali della nicchia donde il gruppo si affaccia.
Delicato argomento, e quanto mai problematico, è sempre quello della genesi di un’opera d’arte4 nel tentativo di ripercorrere la successione delle idee dell’artista creatore: tanto più difficile in Michelangelo, che, al contrario di Leonardo e dello stesso Raffaello, ha sistematicamente distrutto quasi tutti i disegni e gli abbozzi preparatori d’ogni suo capolavoro: ricordiamoci le reiterate richieste dell’Aretino per avere da lui: “un pezzo di quei cartoni che solete donare fino al fuoco…”
Eppure ciò è necessario per renderci conto del valore espressivo di un’opera così conchiusa e definitiva come la ‘Madonna di Bruges’. Concepita al momento del maggiore interesse mostrato da Michelangelo per il nuovo gusto compositivo leonardesco, quando tracciava il disegno per un gruppo della Sant’Anna e la Vergine e vi scriveva accanto: “chi dire’ mai che sie di mie mani”.5 La ‘Madonna di Bruges’ è il risultato di una serie di studi dal vero di una giovane e di un bimbo (sul tipo della ‘Madonna del gatto’ di Leonardo) che frutteranno, subito dopo, il ‘Tondo Doni’ e i due tondi marmorei di Londra e Firenze; alla statuaria solennità della posa della Vergine, infatti, si mescola in un equilibrio perfetto (che è solo del capolavoro) la vitalità del Bimbo legata ad una serie di azioni e reazioni che si concludono nel mirabile nodo della mano sinistra della Madre in atto di trattenere il fanciullo ( fig. 6).
Un simile incrocio di gesti non è “contemplato” (come più tardi nei manieristi) in un elegante rigirarsi di membra, ma è esattamente il risultato di una azione precedente, quella in cui il Bimbo, scivolato nella, prepotente vitalità fanciullesca incontro all’umanità, viene trattenuto dalla Madre mentre si arresta, nel cavo delle vesti materne, provocando un motivo di pieghe carissimo a Michelangelo. Da ciò assumono grande importanza il groppo del mantello della Vergine, dietro il capo del Bimbo, e l’ombra ricavata nel grembo di lei, per staccarne vivamente il fanciullo. Un motivo simile, sorto da una serie di moti istantanei e fermato dal genio michelangiolesco, si ritrova in un disegno di Londra giustamente messo in relazione dal Tolnay e da altri, con la ‘Madonna di Bruges’.6
Ma nello stesso foglio sono abbozzate figure nude di giovani che sembrano riferirsi al cartone per la ‘Battaglia di Cascina’. Di qui le domande: il disegno, così chiaramente allusivo alla ‘Madonna di Bruges’, è uno schizzo preparatorio (uno dei molti tracciati dall’artista prima di eseguire il gruppo in marmo) o è posteriore sia pure di poco tempo, quasi un ripensamento in vista d’altre opere, oppure il gruppo marmoreo è posteriore al 1501, cioè del 1504, il tempo della ‘Battaglia’?
Per il carattere di appunto rapido e sintetico tracciato a solo contorno (fig. 4) in cui è accennata l’anatomia delle figure, il disegno sembra aver preceduto il gruppo costituendone un raro, primitivo “pensiero”.
Infatti l’atteggiamento delle figure è diverso da quello definitivo e testimoni d’una maggiore aderenza al vero: la madre tiene il bimbo tra le ginocchia, quasi soppesandolo, in un gesto quotidiano non ancora risolto nella stupenda definizione plastica. Ma bisogna anche notare che questo schizzo anticipa (come del resto avviene spesso in Michelangelo) gruppi degli ‘Antenati di Cristo’ della Sistina e lo stesso cartone della ‘Epifania’ di Londra: curioso, infine, notare che nel gruppo di nudi eroici abbozzati nello stesso foglio il motivo di un drappo, che, sotto il peso di una figura, forma una caratteristica piega acuta, in piena tensione, torna ad affacciarsi, quasi che l’artista ripensando al rapido appunto per la Madonna ne svolgesse più tardi, ma sullo stesso foglio, lo spunto iniziale.
La ‘Madonna di Bruges’ è al centro dell’importante problema della pittura del Buonarroti prima della Sistina. Nella ‘Madonna di Manchester’ (che con la ‘Deposizione’ di Londra va considerata la meno dubbia attribuzione michelangiolesca di questi anni), il gruppo della Vergine seduta sulla roccia, in atto di sottrarre il libro di preghiere al bimbo, appartiene alle stesse idee compositive che fruttarono il nostro gruppo marmoreo: vi si notano acerbità di modellato, estrema cura della tecnica che ritroviamo nella ‘Madonna di Bruges’ così come nella ‘Deposizione’ di Londra il corpo del Cristo è sostenuto dai portatori in un gesto assai simile a quello accennato sul foglio dove è schizzata la nostra ‘ Madonna’.
E nella tavola con la ‘Madonna di Manchester’ in cui la tecnica minuziosa va riferita alle tracce d’un apprendimento pittorico del tutto personale, è ben vivo quel panneggiare “triturato” e complesso che si osserva nella ‘Pietà’ di San Pietro, nelle statue Piccolomini e nel nostro gruppo.
Tuttavia il gusto che si afferma nella tavola dipinta è riflesso nella ‘Madonna di Bruges’ come il risultato di una ricerca preziosa e singolare, maturata anche attraverso le stampe nordiche; una ricerca pungente e per così dire “preromantica” che si ritrova, privata del suo poetico incanto, in Filippino Lippi o in Piero di Cosimo. E chi avrebbe osato, se non Michelangiolo, ideare quella Vergine coperta di strani drappi che ne svelano l’acerbo seno (forse allusivo ad una miracolosa maternità) o immaginare il braccio della donna improvvisamente sbucato da un taglio del mantello, come si vede nella ‘Madonna di Bruges’ gesto che ha la stessa imprevista origine spregiudicata e “fantastica” ?
Nè va dimenticato che proprio di questi motivi sintomatici per la stanchezza delle tradizionali cadenze quattrocentesche fiorentine, si arricchirà il bagaglio dei manieristi più acuti e personali, quali il Pontormo e il Rosso Fiorentino. Perciò la ‘Madonna di Bruges’ assume grande importanza anche come segno d’un gusto “fin de siècle” che si volge decisamente verso espressioni nuove in una rivalutazione dì quei valori essenziali indicati, all’inizio del Quattrocento, da Donatello e rivissuti da Michelangelo in un clima di pensosa austerità.
Quanto ai richiami a Donatello, che restano in una sfera ideale, senza poterne documentare una dipendenza diretta in opere singole, è stata più volte richiamata la ‘Madonna in trono’ di Padova, idolo arcaico che lo scultore quattrocentesco plasmò, forse su qualche veneratissimo esemplare romanico che la sua opera doveva sostituire agli occhi dei fedeli: ma non è necessario ricorrere a questa singolare opera donatelliana, tantomeno poiper ricercare anche nel gruppo michelangiolesco significati reconditi quali la simbolica dipendenza del Bimbo dal grembo della Vergine, com’è nella iconografia bizantina e dell’alto Medioevo. L’opera di Michelangelo (come già quella di Donatello) è del tutto svincolata da una “forma mentis” che il Rinascimento aveva rapidamente cancellato con la sua nuova concezione “umanistica”.
Siamo, dunque, alla vigilia del ‘David’ e non in un momento, sia pur lievemente, posteriore: l’attuazione di una visione così eroica e clamorosa come quella del ‘Gigante’ fiorentino risolve, nel Buonarroti, anche le intime sfumature in uno stile grandioso e corrucciato donde potranno nascere il Mosè, i Profeti e le Sibille della Sistina, gli Schiavi per la tomba di Giulio II, non certo il raccolto e inarrivabile “pathos”, appena espresso dall’infinito amore dell’ indagine nella ‘Madonna di Bruges’ che i perspicaci mercanti fiamminghi assicurarono per sempre alla loro città e che giunse a portare, tra le nebbie del Nord, fiore purissimo e intatto, il profumo della rigogliosa primavera artistica italiana.
Valerio Mariani
Note
1) P. TOESCA, Michelangelo, dell’Enc. Ital., s. v., p. 11, nota questi elementi nella ‘Madonna del Cardellino’.
2) A. GOTTI, Vita di M. A. Buonarroti, Firenze 1875. vol. II, p. 5r. Sulla spedizione in Fiandra vedi anche E. LAVAGNINO, in Il Messaggero, 7 febbraio 1954. Non sembra possibile accettare, comunque, l’ipotesi che il gruppo marmoreo fosse stato mai a Roma, il che, pur ammettendo punti oscuri nella vita di Buonarroti in questi anni agitati, contrasterebbe con la lettera citata e con quella scritta da Michelangelo al padre.
3) F. KRIEGBAUM, Le statue di M. A. nell’altare dei Piccolomini a Siena, in M . A. Buonarroti, nel quarto centenario del Giudizio Universale, Firenze, V. G. Sansoni, 1942, p. 86.
All’autore va il merito d’aver studiato più attentamente e, quindi, riabilitato le statue dell’altare Piccolomini, istituendo convincenti confronti con la ‘Madonna di Bruges’. Egli assegna a questo gruppo la data I502 (v. p. 111).
4) V. MARIANI, La Madonna di Bruges, in Idea, a. IV, n. 5 del 3I gennaio 1954·
5) Foglio con disegni a penna, un nudo virile, e in alto Santa Anna che tiene sulle ginocchia la Vergine in atto di nutrire il bimbo (Parigi, Louvre).
6) DE TOLNAY, Michelangelo, Firenze, Del Turco ed., 1951, pp. 28, 29.