RISTUDIANDO I DISEGNI DI COSIMO ROSSELLI
di Bernard Berenson
da: Bollettino d’Arte, 1933 – XII (GIUGNO – ANNO XXVI), pp. 537-547
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Cosimo Rosselli nei suoi dipinti si rivela ben maggiore artista di quel che lo reputassero i critici di cinquant’anni addietro. Forse sono stato io fra i primi a riconoscerne il reale valore, che già parlando del suo affresco in S. Ambrogio lo dicevo: “ Tanto semplice e pur grandioso nella composizione e delicato di contorni ”. E fin d’allora gli attribuivo pitture quale La Natività del Palazzo Corsini a Firenze, Il Trionfo della Castità di Torino col dipinto affine della National Gallery rappresentante La Lotta fra Amore e Castità. Sono arrivato anche a dire che: “ l’osservatore minuzioso di questi dipinti non si sognerebbe mai di metterli al disotto di quelli del Ghirlandaio ”.
Eppure studiosi di alta autorità insistono ancora nel voler dare al Ghirlandaio opere che io sono pronto a difendere come proprie del Rosselli. Ad esempio, la Madonna che anni fa vidi in Scozia nella Collezione di Mr. James Mann, proprio allora da lui acquistata presso negozianti che, tanto per venderla, l’avevano corredata di un nome illustre. In quel tempo il Ghirlandaio passava per il più compito fra i pittori fiorentini del Quattrocento, opinione accettata dallo stesso Walter Pater, per solo ragionamento però, che in cuor suo era già ammiratore, primo e profondo ammiratore, del Botticelli. Riuscii a convincere Mr. Mann che la sua Madonna non era opera del Ghirlandaio, bensì del Rosselli. Ed a questo maestro è rimasta indiscussa fino a pochi mesi fa, quando è stata pubblicata da Lionello Venturi (fig. 1) con la prima attribuzione, che non è però quella “ tradizionale”, come egli crede (L’Arte, 1932, pagine 419-421).
Mentre la fama del Rosselli pittore è andata crescendo,è successo l’opposto dei suoi disegni. Non intendevo ancora di quanto essi fossero inferiori alle migliori opere del maestro quando ne trattai nella prima edizione di un mio libro, riportando come suo lo studio nella collezione Clough di una Madonna e Santi (tavola 80 dei miei Drawings of the Florentine Painters).
Dopo 35 e più anni stento a capire come io abbia fatto a non riconoscerlo subito per un Benozzo Gozzoli. I pochi disegni che oggi attribuisco direttamente al Rosselli o ai suoi copiatori, sono scarabocchi, che non merita osservare, ovvero studi tanto lisciati e finiti che di qualità intrinseca ne rimane poca. Solo tre di essi offrono un certo interesse quali documenti per la storia dell’arte fiorentina.
Lo studio di un Giudizio Finale, e due abbozzi per l’Apparizione della Vergine a San Bernardo. Essi ci fanno capire donde Piero di Cosimo e i suoi compagni di studio più giovani, Fra Bartolomeo e l’Albertinelli, attingessero il loro tratto sgraziato e prolisso. E’ vero che con l’andare del tempo Fra Bartolomeo è riuscito a rendere il suo meno tortuoso, ma resta sempre un po’ troppo tenue e secco, quasi fosse di fil di ferro. Chissà che lo sforzo di togliersi una cattiva abitudine non gli abbia portato via energie che altrimenti avrebbero contribuito a render più vitale l’eleganza naturale della sua penna. Però l’interesse maggiore dei due disegni consiste nella fase che essi rappresentano per lo sviluppo del soggetto, che è la Visione di San Bernardo. Il tema è così interessante che si sarebbe tentati di farci sopra una monografia. Io purtroppo per poca competenza e il tempo ristretto mi devo contentare di un breve accenno limitato alla sola Toscana. La prima rappresentazione che ricordi di questo soggetto è quella nella predella del polittico di Giovanni da Milano a Prato (fig.2).
Il santo è seduto allo scrittoio mentre posa la penna sulla carta ed alza gli occhi per vedere ed ascoltare la Vergine Celeste. Essa è vicina tanto, da poter poggiare la mano sinistra sul leggio, mentre col cenno della destra accompagna le parole. Le due figure sono statiche, il Santo saldamente seduto, l’Eletta ben piantata al suolo. Nessuna di esse è accompagnata da altri personaggi: non ci sono nè angioli nè altri seguaci. Uno scultore del 1200 circa, non avrebbe potuto immaginare la scena più severamente, più verticalmente e con maggiore plasticità. Le tracce del gotico sono qui meno percettibili di quel che non risultino nel Portico della Vergine a Chartres o sui frammenti “jubè” che circondava il coro nella cattedrale di Bourges. E pure il dipinto non si può datare prima del 1350 quando già il gotico stava per tramontare.
A breve distanza di tempo un seguace dell’Orcagna influenzato da Giovanni da Milano e successore di questi nella sagrestia di Santa Croce, il così detto Maestro della cappella Rinuccini, ripeteva lo stesso motivo sulla tavola centrale di un trittico (fig. 3) che ora è all’Accademia di Firenze(8463).
Gli anni che separano l’uno dall’altro dipinto, sono pochi, è già la composizione è ispirata ad un altro momento artistico. La Vergine non rimane più immobile, essa si avanza con mosse ondeggianti, fiancheggiata da due angioli che guardano intenti mentre Ella fa il gesto di benedire. Anche il Santo non è più seduto, sta in ginocchio, e dietro a lui vediamo due frati, dei quali il più anziano guarda con attonita approvazione la pagina scritta. E mentre Giovanni da Milano ci lascia nell’incertezza sul posto dove si svolge la scena, se all’aperto o in casa, il Maestro Rinuccini ci dà un vero e proprio scenario col prato fiorito e gli arbusti folti caratteristici della tarda fase gotica. La composizione è tanto pittorica quanto l’altra è plastica, è drammatica quasi quanto l’altra è austera. Trascorrono sette decadi prima che ci riesca di trovare una altra rappresentazione del soggetto: l’autore è Fra Filippo e la data 1447 (vedi Boll. d’Arte, anno XXVI, pag. 62). Nonostante il tipico paesaggio roccioso e gli angeli, manca una vera ispirazione. La composizione non è interessante, il che non si potrebbe certo dire di un altro dipinto dello stesso soggetto eseguito circa venticinque anni dopo da Filippino, figlio di Filippo (fig. 4).
Il quadro di gran fama che è nella Badia di Firenze corrisponde pienamente a quello che ci aspettiamo da una opera d’arte fiorentina del 1480 circa: è espressivo e messo in scena con maestria. La Vergine accompagnata da una schiera di angeli posa la mano destra sulla pagina scritta mentre S. Bernardo fissa su di lei lo sguardo in un’estasi che tutto lo pervade. L’ambiente attorno è dettagliato e popolato quasi come in un tardo Carpaccio, mentre gli sfondi già preannunziano il Domenichino. E infatti lo spirito del dipinto, salvo la differenza nei tipi e nelle pieghe del drappeggio è più vicino a quel maestro che a un qualunque contemporaneo di Filippino, fenomeno che in lui spesso si riscontra. Ma mi sono dilungato già troppo su questo argomento e conviene tornare indietro, ai due disegni, al nostro punto di partenza, cioè, per la breve iconografia della Visione di S. Bernardo.
Il primo (fig. 5) ora al British Museum, (Ber. 2385) l’ho proposto e discusso nel catalogo della mia prima edizione come lavoro originale del Rosselli e sarebbe inutile volerlo difendere ancora contro chi cercasse di renderlo o a Fra Bartolomeo o a Piero di Cosimo. L’altro, che a me pare una copia fedele dal Rosselli, è ora attribuito a lui (fig. 6) e si trova agli Uffizi (Ber. 2388).
Tutti e due, come dicevo, sono studi per la Visione di S. Bernardo, e rivelano la dimestichezza del Rosselli con l’opera di Filippino. In quello del British Museum la Vergine, scortata da due angeli, si avanza verso il Santo camminando sul suolo con la mano destra tesa in avanti. il Santo è seduto all’aperto davanti a uno scrittoio pieghevole e guarda estatico l’Eletta. Il paesaggio è appena accennato. L’altro, quello che per me è una copia fedele e non un originale, ciò che per lo scopo presente non guasta niente, è più interessante. Lasciamo da parte i Santi che non rientrano nel piano centrale della composizione. Il S. Bernardo è meno mosso di quello di Filippino, e questo è naturale in un artista nato quindici anni prima, quando l’arte era ancora più statica. Forse i frati che si scorgono nello sfondo si avvicinano di più a quelli dipinti nel quadro della Badia, ma il dettaglio originalissimo in questo disegno, e non certo ispirato da Filippino, è la Vergine che si avanza verso il Santo portando davanti a sé il Bambino. Esso si sporge verso uno dei due angeli che accompagnano la Madonna quasi cercando appoggio, desideroso di sfuggire al vincolo materno. L’idea della Vergine assistita dall’angelo nel sorreggere il Bambino potrebbe essere reminescenza del motivo filippesco già tanto sfruttato dal Botticelli e dai suoi imitatori. Però quello che più conta, è che qui, per la prima volta nella rappresentazione della Visione di S. Bernardo, vediamo la Vergine col Bambino, e non sola come in tutte le versioni precedenti, anche in quella di Filippino. Fra Bartolomeo, nipote artistico del Rosselli, da questi appunto prese il motivo della Vergine col Bambino per creare il quadro ora all’Accademia di Firenze (fig. 7).
È vero che nel suo dipinto la Madonna non tocca il suolo, rimane in alto come quella del Maestro della Cappella Rinuccini. Forse nel rappresentarla così sospesa, il Frate s’ispirò appunto a quel maestro. Quello però che completa il motivo è il Bambinello fra le braccia della Vergine; immaginate invece che esso manchi e che la Madonna resti a mani vuote! Così come è, basterebbe raffigurarsela di fronte anziché voltata di profilo, e si ritroverebbe tale e quale la Madonna Sistina di Raffaello salvo naturalmente l’espressione. E se Cosimo Rosselli rappresenta un anello di congiunzione forse indispensabile in quella catena che scorre su su per finire nell’opera sublime di Raffaello, il merito suo agli occhi nostri di storici dell’arte non è certo trascurabile.
Anche un’altra opera di Fra Bartolomeo ha avuto influenza su Raffaello.
È l’affresco del Giudizio Finale che si trova, ancora rovinatissimo, al Museo di S. Marco di Firenze (fig. 8).
La parte superiore della composizione con la Vergine e gli Apostoli seduti in semicerchio e il Cristo in alto in mezzo ad una corona d’angioletti, ci fa vedere il cielo a guisa di abside dalle proporzioni cosmiche. Raffaello, più conscio forse di quel che lo sia mai stato Fra Bartolomeo, delle possibilità che il soggetto offriva per la composizione dello spazio (egli forse se ne rendeva conto anche troppo sì da semplificarlo e geometrizzarlo ad oltranza nel primo tentativo che ne fece nell’affresco di S. Severo a Perugia) riuscì varii anni dopo, favorito dalle circostanze, a dargli nella Disputa l’espressione più perfetta che ne sia mai stata raggiunta.
Ma tutto ciò è ben noto ed io torno ad un disegno del quale già più sopra ho parlato, cioè lo studio per un Giudizio Finale (Uffizi, Ber. 2389). Non oso darlo al Rosselli stesso, non solo perchè non mi sembra completamente suo, ma anche perchè ci sento dei tocchi di una delicatezza botticellesca. Non che il Rosselli negli ultimi suoi anni non fosse anch’egli capace di tanto, ma sarà più prudente ascriverne l’esecuzione, fatta beninteso dietro le precise indicazioni del Rosselli, ad un qualche aiuto capitato forse nel corso delle proprie occupazioni sotto l’influenza del Botticelli, probabilmente, lo stesso che dai disegni del Rosselli dipinse la maggior parte dell’Incoronazione della Vergine, che era prima a S. Ansano e si vede oggi al Museo Bandini a Fiesole: un quadro che guardato dal basso in alto, più e più diventa botticelliano, sicché rifacendosi dal piano inferiore, che è interamente del Rosselli, si finisce col trovare in alto tipi ed espressioni che non hanno più niente da fare con lui (fig. 9).
Premesso questo, vien fatto di domandarci quale propriamente sia il rapporto fra il disegno del Rosselli agli Uffizi e l’affresco di Fra Bartolomeo, che rappresenta anch’esso un Giudizio Finale e che, come ben sappiamo, non è stato iniziato prima del 1499.
Pur datando indubbiamente dagli ultimi del Quattrocento, la composizione del Rosselli (fig.10), per la maniera di trattare il soggetto, si avvicina meglio a Fra Angelico che a Fra Bartolomeo. È più ristretta, più verticale forse a cagione della stretta tavola alla quale era destinata anziché per un qualunque motivo stilistico. Ma la distribuzione dei gruppi, la netta separazione dei redenti dai dannati, i demoni che assalgono questi e gli angioli che abbracciano ed incoraggiano gli altri, il Giudice che vediamo vestito anziché seminudo, sono tutti motivi che si ricollegano a Fra Angelico e perfino ad artisti anteriori a lui. Per Fra Angelico il Giudice è anche il Redentore mentre per il Rosselli l’Eterno è il Padre e non il Figlio. Altra caratteristica medioevale e riminiscenza della iconografia romanica è la presenza di una “ Deesis ” in questa composizione, la Vergine cioè che insieme al Battista, uno a destra e l’altro a sinistra dell’Eterno, cercano di placare la sua ira e implorano la sua indulgenza.
Nell’affresco di Fra Bartolomeo la Vergine c’è ma senza particolare scopo. Raffaello nella sua Disputa ha saputo far meglio mettendole di fronte il Battista. Ma ci sono anche dei punti di contatto con Fra Bartolomeo: l’Arcangelo che pare un Cesare alato e che separa i reprobi dai redenti, la distribuzione semicircolare delle figure a destra e a sinistra del Giudice, che resa più ariosa e più spaziosa, arriverebbe anch’essa a preannunziare Raffaello. Non vorrei per questo dire che lo studio riveli indizi di dipendenza da Fra Bartolomeo. D’altra parte non è provato, o almeno io non saprei provare, che il disegno anticipi l’affresco. Sta di fatto, però, che il disegno rappresenta una maniera più arcaica di trattare il Giudizio Finale, più arcaica iconograficamente parlando e per certo verso anche più romanica di quella dello stesso Angelico. E Cosimo Rosselli che non essendo innovatore seguiva la corrente maggiore del tempo, l’avrebbe cosi trattato in tutte le fasi della sua attività matura ed è naturale che insegnasse lo stesso agli scolari ed allievi. È probabile dunque che il giovanetto Baccio della Porta, seguendo le orme del Rosselli, abbia avuto in mente una composizione del genere, poiché da quella alla sua non c’è che un passo, e un altro ancora basta per raggiungere la Disputa di Raffaello.
Prima di abbandonare Cosimo Rosselli, diamo uno sguardo ad un disegno nel Louvre (fig. 11) che nella prima edizione del mio citato libro, ho catalogato come copia da lui (Ber. 25860). È l’abbozzo per la figura all’estremità sinistra del Cenacolo nella Cappella Sistina (fig. 12), e indubbiamente è degno di lui e della migliore sua attività. La copia, se copia è, dev’essere stata fatta da una mano superiore alla media possibilità di Cosimo. Ma mi domando perchè un artista non dovrebbe a volte sorpassare la propria media, visto che spesso resta al di sotto di essa? Il tratto della spalla e della mano sinistra sono definitivamente di lui, e non escludo che sia suo l’intero abbozzo ispirato forse dalla presenza del Perugino e del Botticelli, suoi compagni di lavoro.
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